di ROBERTO BRACCO – Che cos’è il cristianesimo? Questa domanda rappresenta una premessa indispensabile al soggetto che ci accingiamo a trattare.
Il cristianesimo è la dottrina di Cristo nella sua attuazione pratica! La dottrina di Cristo, non bisogna dimenticare, non ha soltanto un aspetto morale ed un contenuto legale, ma anche, anzi soprattutto, un aspetto ideale; cioè la dottrina di Cristo non si esaurisce nell’insegnare a vivere puramente e onestamente, ma si sofferma soprattutto a proclamare l’amore di Dio, la misericordia di Dio e le promesse di Dio.
Quindi possiamo dire che il cristianesimo, prima di ogni altra cosa, è la rivelazione e l’offerta della redenzione dell’umanità perduta e del dono della vita eterna.
Il cristianesimo, andando di conseguenza in conseguenza, e l’avvento del Regno di Dio. Per esso gli uomini, cioè i cristiani, vengono dichiarati figliuoli di Dio e cittadini di questo Regno glorioso e eterno.
Stabilito questo concetto fondamentale non rimane difficile comprendere come dev’essere vissuto il cristianesimo. Esso non può essere vissuto entro i confini opprimenti di un tradizionalismo religioso e non può essere praticato sotto il peso di limitazioni o compromessi. Deve essere vissuto nella libertà assoluta dello Spirito, al di fuori e al di sopra delle circostanze e delle realtà della vita contingente.
Purtroppo il un mondo dove la religione e diventata un accessorio della vita, dove il problema spirituale è stato trasferito dietro a quelli sociali, dove la vita dell’anima, intesa nel senso più elevato di questa parola è curata in una maniera più che secondaria; purtroppo diciamo, in un mondo dominato da queste aberranti concezioni, anche i cristiani si trascinano pesantemente sotto il peso delle più perniciose influenze.
Non dobbiamo quindi meravigliarci se anche coloro che dichiarano di averla ricevuta l’eredità di Dio, continuano a scalmanarsi intorno ad una eredità terrena; e se coloro che proclamano di aver ricevuto in dono la vita eterna continuano a barricarsi dietro alle realtà effimere e fuggenti di questa vita che tramonta. L’influenza del mondo dalla quale non riusciamo pienamente a “santificarci”, cioè a “separarci” o a “sottrarci ” ci turba e ci precipita nella confusione. Il cristianesimo è “la vita eterna”, quindi il cristianesimo sbiadisce ed annulla questa vita che fatalmente ci sfugge. Se noi viviamo rettamente il nostro cristianesimo non possiamo vivere “questa vita”, ma dobbiamo vivere la vita eterna.
Questa vita non può essere il nostro scopo, la nostra gioia, la nostra finalità perché il cristianesimo ci ha dato uno scopo, una gioia ed una finalità nella vita eterna. Non possiamo avere timore di perdere questa vita perché ormai essa è stata superata dalla vita eterna.
Nella vita presente, in un cristianesimo genuino, la visione non si ferma al tempo e alle circostanze e il credente non può offrire i suoi slanci per conquistare le realtà visibili perché tutto viene vissuto in funzione di conquista eterna: i programmi, le attività; i dolori, le prove; le gioie, le esperienze; tutto viene vissuto fuori dai limiti del tempo e fuori dallo scenario del mondo, nella vita eterna.
Se crediamo che il nostro cristianesimo cioè se crediamo che la vita eterna ci è stato donata non possiamo agire diversamente altrimenti il nostro contegno infirmerebbe la nostra testimonianza di fede.
Se voi non riuscite ad oltrepassare l’orizzonte del tempo e non riuscite a liberarvi dalle imposizioni di questa vita, non potete vivere cristianamente. Il cristianesimo è anche ricchezza e gloria eterna e perciò il cristianesimo spegne il luccichio delle gemme e annulla il brillare dell’oro. Le ricchezze che vivono nel tempo e nello spazio; la gloria che impera sotto il sole vengono superate dal cristianesimo. Un cristianesimo autentico non ci ispira ad accumulare ricchezze che sono soltanto fango, non ci consiglia di cercare una gloria che è soltanto apparente perché ci offre vera ricchezza e vera gloria.
Se le nostre mani continuano a stringere avidamente le sudice banconote o le nostra braccia continuano a serrarsi con cupidigia intorno ai tesori, noi non siamo cristiani.
Coloro che si consumano per accumulare beni fugaci dimostrano di non stimare e di non credere in quelli eterni e quindi dimostrano un cristianesimo falsificato.
Il vero cristianesimo riempie l’uomo e lo riempie non soltanto per approvarlo con la gioia, con la pace, con la speranza e con la fede, ma lo riempie per renderlo totalmente occupato dalle realtà eterne. Nel cristianesimo queste realtà occupano non il primo, ma l’unico posto e tutte le altre cose si trasformano in accessori insignificanti agganciati al tempo e alle circostanze.
Oggi si ode dire frequentemente che si incontrano molti cristiani che non trovano il tempo per leggere la bibbia o per pregare; che non trovano l’opportunità per frequentare e curare la comunione fraterna; che non trovano la capacità per offrirsi per il servizio di Dio; che non trovano il denaro per contribuire al lavoro dell’Eterno. Che cosa possiamo dire di questi cristiani? Non molto, ma possiamo dichiarare che non vivono cristianamente cioè che non sono pieni, traboccanti di quella potenza divina che si chiama cristianesimo.
Essi trovano il tempo necessario al loro lavoro e alle loro esigenze di vita fisica; trovano le opportunità necessarie al raggiungimento dei loro scopi; trovano la capacità per formarsi una posizione o migliorare e trovano il denaro per circondassi di attenzioni e cure, ma non trovano nulla per la vita eterna.
Che cosa dimostrano?
Dimostrano che vivono e vogliono vivere la loro vita terrena, ma non vivono e non vogliono vivere il cristianesimo. Sì, si accontentano di vivere un cristianesimo parziale con la loro confessione verbale, con le loro rare presenze nella comunione fraterna, con il loro magro contributo alla causa di Dio. Un cristianesimo che può esser assomigliato ad una “volgare religione”, che si professa per necessità sociale o per testamento interiore, che si professa senza credere eccessivamente e senza sacrificarsi profondamente.
Il cristianesimo ci fa trovare tempo, forza e denaro; ci fa dare slancio, entusiasmo e fede in vista della vera vita, della vita eterna. Forse non avremo più tempo per curare i nostri interessi, per valorizzare il nostro lavoro e dì nostri programmi; forse non riusciremo ad aumentare le nostre entrate o i nostri beni, ma potremo dare sempre a Dio quello che egli ci chiede.
Nel vero cristianesimo non si attribuisce più valore alle realtà che passano e quindi, come già detto, le cose che vogliono distrarre l’uomo da Dio diventano circostanze insignificanti che possono facilmente essere subordinate al piano di Dio e l’uomo diventa ricco, forte, pronto sufficientemente per compiere tutto il volere divino.
La vita eterna domina il pensiero che ispira l’azione del cristiano ed anche la sua personalità ne viene profondamente permeata.
Il cristianesimo infatti è anche personalità nuova. Il cristiano è figliolo di Dio in senso proprio e diretto ed egli vive in relazione a questa sua eminente personalità.
La gloria o il vituperio del mondo non possono compiere la più lieve scalfitura in coloro che non sono più del mondo. I cristiani sanno amare perché non vengono turbati dalle offese; sanno essere umili perché non vengono esaltati dalla lode. Essi non danno valore alle cose rivolte ad una personalità che non è più la loro, cioè ad una personalità umana e terrena alla quale sono morti, perché come “nuove creature” vivono una nuova personalità che può essere facilmente elevata sopra i tempestosi sentimenti umani.
Il cristianesimo è il cielo, la gloria, la luce, la vita; viverlo vuol dire vivere nel cielo, nella gloria, nella luce e nella vita. Il compromesso è infedeltà come è infedeltà un cristianesimo ridotto alle dimensioni di una tradizione religiosa. Se tutta la nostra vita, i nostri beni, i nostri desideri, i nostri programmi non sono nascosti con Cristo in Dio noi non viviamo un cristianesimo che possa essere definito veramente tale. Gli egoistici, gli avari, gli indifferenti, i pigri, gli oziosi, i mondani, i sensuali… vengono rifiutati dal cristianesimo che o si vive interamente o non si vive affatto.