di Roberto Bracco – Luca 2:25-35 – La figura di Simeone, il vegliardo in attesa della consolazione d’Israele, è una delle più luminose della Bibbia e può essere presa in simbolo della vera spiritualità. Purtroppo nel seno della cristianità il termine spiritualità non possiede sempre il significato che gli viene attribuito dalla Scrittura e perciò è utile considerare l’esempio di un uomo che può illuminarci intorno a questo soggetto fondamentale.
Simeone era un uomo giusto e pio; questa testimonianza non viene resa dagli uomini, ma da Dio stesso a mezzo della Sua Parola. Le opere e i sentimenti di Simeone quindi si trovavano sul piano della volontà di Dio ed egli viveva sotto l’approvazione divina.
Simeone era giusto in conseguenza della sua spiritualità, ma la sua spiritualità non consisteva nella sua giustizia.
Per illuminare con un esempio questo concetto possiamo dire che la giustizia di Simeone rappresentava il frutto, e la spiritualità la radice della sua vita: egli era giusto perché era spirituale, ma era spirituale ancora prima di essere giusto.
Simeone inoltre trascorreva il suo tempo all’ombra della casa di Dio. La sua gioia e il suo ristoro non si trovavano nel mondo e nei piaceri terreni, ma nel Tempio dell’Eterno. Egli era l’esempio vivente di una vita di adorazione e di comunione con il Cielo, ma non per questo viene definito spirituale.
Naturalmente egli trascorreva le sue ore nel tempio perché era spirituale, ma la sua spiritualità veniva prima della sua adorazione.
Simeone, infatti, aspettava la consolazione d’Israele, cioè viveva una vita di speranza. I suoi occhi erano volti verso l’adempimento della promessa divina e la sua aspettativa era solidamente ancorata alla manifestazione del Cristo.
Ma anche Simeone, esempio di speranza, ci parla di spiritualità soltanto indirettamente: egli viveva nella speranza perché era spirituale, ma la sua spiritualità veniva prima della sua speranza.
I frutti di un albero ci indicano sempre la specie dell’albero e noi possiamo infallibilmente riconoscere “l’albero dai frutti”, ma il frutto non fa l’albero poiché è l’albero che fa il frutto.
Simeone non era spirituale per la sua giustizia, per la sua adorazione, per la sua speranza, ma era spirituale perché lo Spirito di Dio era sopra di lui.
Non si può essere spirituali se lo Spirito non è sopra noi, in noi e intorno a noi. Quando viviamo nello Spirito e lo Spirito vive in noi possediamo la prima e più importante caratteristica della spiritualità.
Se siamo aridi, privi dello Spirito, non siamo spirituali.
Simeone quindi era spirituale perché viveva nello Spirito ed era altresì spirituale perché conosceva chiaramente la voce dello Spirito. Egli udiva distintamente gli ordini e gli impulsi dello Spirito e li seguiva con fedeltà.
Molti credenti che pretendono di essere spirituali confondono le proprie emozioni con la voce dello Spirito e si lasciano influenzare dal basso invece che dall’alto. Essi “sentono”, “vedono”, “comprendono”, ma in realtà dimostrano di non sapere discernere la voce dello Spirito cioè dimostrano di non essere spirituali.
Come le pecore del gregge riconoscono la voce del pastore, così lo spirituale riconosce la voce dello Spirito anche nella confusione assordante di cento voci.
Paolo, un altro spirituale presentato dalla Bibbia, ci dimostra, attraverso la testimonianza della sua vita, la caratteristica del “vero figliuolo di Dio” che è sempre “condotto dallo Spirito di Dio”.
Simeone viveva nello Spirito, conosceva la voce dello Spirito e, sopratutto, seguiva gli ordini e gli impulsi dello Spirito.
Egli non cercava di comprendere o di fare considerazioni e calcoli, ma cercava soltanto di essere sottoposto allo Spirito. Parlare o tacere; muoversi o star fermo: tutto doveva essere suggerito e ordinato dallo Spirito. E Simeone sapeva essere anche audace, anche temerario per ubbidire allo Spirito; egli andò incontro a due coniugi a lui sconosciuti, prese in braccio un fanciullo simile a tanti altri, pronunciò delle parole incomprensibili agli astanti, soltanto perché lo Spirito lo sospingeva.
Lo spirituale non è mai un reticente o un calcolatore perché, come servo dello Spirito, vuole soltanto ubbidire. Se i piani dello Spirito sono incomprensibili, egli non li discute, ma li accetta e li esegue lasciando i risultati nella mani di Dio.
Quando lo Spirito parlò a Filippo per inviarlo su quella strada deserta dove doveva incontrare il soprintendente della Candace d’Etiopia, Filippo si trovava a curare la fiorente comunità di Samaria. L’ordine poteva apparire veramente sorprendente perché imponeva di lasciare una comunità, nel fulcro del proprio risveglio, per ritirarsi in una strada che non sembrava offrire opportunità missionarie. Ma Filippo non fece calcoli e considerazioni e si umiliò alla guida dello Spirito perché era spirituale.
Simeone era spirituale perché possedeva le caratteristiche fondamentali della vita dello Spirito che sono:
– Vita nello Spirito;
– Sensibilità allo Spirito;
– Sottomissione allo Spirito.
Quest’uomo spirituale, perché veramente spirituale, fecondava costantemente anche il frutto dello Spirito che ci appare nella sua vita giusta, pia e ricca di adorazione e speranza.