TUTTE LE COSE ALLA GLORIA DI DIO

di Roberto Bracco  –  “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio”.  1 Corinzi 10:31  

– Ormai tutti conoscono la frase di quel servo di Dio che è ritornata frequentemente nei sermoni e negli scritti cristiani: «Quando giungerò nel cielo mi meraviglierò di tre cose: di non trovarci molti di coloro che mi aspettavo di trovarci; di trovarci molti che non mi aspettavo di trovarci ed infine di trovarmici io stesso».

L’ultima espressione di meraviglia vuole esaltare la misericordia di Dio in relazione alla debolezza e all’indegnità dell’uomo, ma le prime due vogliono dar risalto alla posizione del credente di fronte a Dio. Non tutti coloro che professano una religione sono veramente religiosi e non tutti coloro che rimangono nell’ ombra vivono lontani da Dio; questa sembra essere la morale della felice frase ripetuta ormai da un secolo.

Alla prima categoria, alla categoria cioè di coloro che vivono ingannando gli altri ed illudendo sé stessi, appartengono gli ipocriti, i formalisti, i superficiali, ma anche coloro che operano, che producono, che sono attivi… non alla gloria di Dio. Questa condizione d’infedeltà preclude in maniera irrimediabile il premio finale che viene anticipatamente sostituito dal premio presente che è poi quello del plauso e dell’ammirazione degli uomini.

Non tutti iniziano il proprio cammino col proposito di raccogliere allori che appassiscono, ma molti nel corso del tempo cadono sotto la spinta della tentazione infernale; dobbiamo dar ragione a quanto ha scritto recentemente un anonimo scrittore cristiano: «Non è raro purtroppo vedere dei santi di Dio, anche fra i più fedeli, cadere in un pericoloso stato d’animo, che risulta frequentemente dalla soddisfazione colpevole del successo…».

Oggi l’esaltazione dell’uomo; del suo servizio; dei risultati del suo ministero sono entrati a far parte di una norma accettata supinamente dalla maggioranza, ma quel che è più impressionante è che coloro che sono al centro dell’attenzione mostrano compiacersi nei tributi di lode che vengono loro offerti, li sollecitano, li pretendono. Tutto deve essere messo in luce, in evidenza e per ogni cosa ci deve essere un encomio, un riconoscimento, un plauso.

Da questo stato di cose deriva che predicatori, evangelisti, conduttori o semplicemente donatori generosi acqui-stano nome e fama che qualche volta fa impallidire la celebrità dei grandi nomi della società umana ; ma purtroppo si determina anche il drammatico stato di moltitudini di servi che hanno cessato di servire Dio perché occupati a servire il proprio io nella ricerca di tutti quegli elementi umani e contingenti che possono appagare le esigenze del più sottile orgoglio carnale.

Non vogliamo generalizzare e non vogliamo rimanere nell’equivoco e perciò precisiamo che non «tutti», bensì «molti» fra coloro che sembrano aver diritto al cielo ne saranno esclusi in conseguenza al fatto che la loro vita è vissuta per il cielo soltanto in apparenza. Essi vivono per il loro nome, per il loro successo, per la loro gloria, quindi per la loro personalità umana.

Di fronte ai «molti» esclusi ci vengono ricordati i «molti» ammessi. In cielo non ci saranno troni vuoti o stanze disabitate e se è vero che un numero notevole fra quelli che sembrano avere i titoli necessari per entrarci risulteranno non «avere le carte in regola» è altresì vero che molti fra coloro che sono rimasti nell’ombra, sconosciuti a tutti, avranno diritto di udire la voce del Signore: «Ben fatto mio fedele servitore…».

Quante offerte ancora largire senza che la sinistra sappia quel che fa la destra; quante preghiere, quante lagrime e quanti digiuni ancora offerti a Dio nel segreto della più segreta cameretta, quante opere di pietà, di assistenza, di testimonianza compiute tacitamente, quasi pudicamente senza reclamizzare e senza ostentare.

Gloria a Dio, possiamo ancora credere all’esistenza di «molti» credenti puri, sinceri, umili, che non si sono lasciati contaminare dal mondo che è penetrato nelle chiese e che concepiscono la volontà di Dio come un mezzo di adorazione vivente. Credenti che fanno ogni cosa alla gloria di Dio, che tremano al pensiero di sottrarre lode e plauso al nome del Signore e che quindi si nascondono dietro la croce del Calvario perché soltanto l’amore del Padre manifestato nel supremo sacrificio del Figlio possa essere al centro dell’attenzione della chiesa e del messaggio al mondo.

Gli esclusi o gli ammessi, ovviamente, non lo saranno per carenza o per sufficienza di «meriti»; soltanto l’opera salvifica di Cristo ha valore davanti al trono di Dio. Ma operare ipocritamente o sinceramente; orgogliosamente od umilmente vuol dire respingere o conservare la grazia salutare che è apparita a tutti gli uomini e che ci è stata data in Cristo Gesù, il benedetto in eterno.