Signore! Signore!

di Roberto Bracco   –   Questo grido si eleva insistentemente quasi a dimostrare che anche in questi giorni di generale indifferenza esiste un popolo che guarda verso Dio, che parla con Dio, che osserva la legge di Dio. Dalle chiese o dagli individui, dai paesi o dalle città s’innalza e si ripete: Signore, Signore! Non è vero, come affermano alcuni, che non c’è più religione; non è vero che Dio è stato dimenticato e quasi espulso dalla società perché la lode che prorompe sempre più vigorosa verso il cielo testimonia dell’esistenza della religione e della cura che pongono molti a mantenere Dio presente nella loro mente e nel seno della società.

Soprattutto le chiese amano ripetere, direi in maniera sempre più organizzata, questa frase tanto importante. «Signore, Signore» si ode nelle riunioni di culto; «Signore, Signore» echeggia nei programmi ecclesiastici; «Signore, Signore» è l’intercalare dei sermoni; e «Signore, Signore» dicono le confessioni di fede dei credenti. Sembra che tutto si compia nel pronunziare queste parole e che tutto consista in esse, perché non è difficile notare la cura che tutti pongono nel ripeterle, ripeterle, ripeterle.

Esse sono la religione; esse sono la fede in Dio; esse il cristianesimo; esse tutto. La religione c’è e Iddio è presente, ma perché non confessare che questa religione non è quella pura portata e proclamata da Cristo, e perché non riconoscere che Iddio è presente, come detto innanzi, soltanto nella mente di alcuni individui, ma è assente dal loro cuore e dalle chiese che essi tanto scrupolosamente frequentano? «Signore, Signore» sono parole e, potrei aggiungere, parole vuote, espressioni gelide che rappresentano soltanto il manto ipocrita di quanti amano coprirsi di una forma di religione che gli consenta un cristianesimo teorico per poter fuggire un cristianesimo pratico.

Quanto è opportuno ricordare, in questo periodo di oscurità, le parole scultoree del Figliuol di Dio. Non chi dice : «Signore, Signore» entrerà nel Regno de’ cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che sta nei cieli (Matteo 7, 21). E Gesù continua : «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore!». (Matteo 7, 22). Sembra quasi che il Maestro benedetto voglia fare una classificazione di coloro che fanno professione di fede. Sembra quasi che Egli voglia dividere la cristianità in due categorie di individui. In una pone coloro che fanno la volontà del Padre, che l’onorano con la loro vita, che lo glorificano, se è necessario, con la morte. Questi, in quel giorno, non faranno udire parole perché presenteranno davanti al trono bianco il frutto delle loro opere; quello che il sacro libro chiama le « opere giuste dei santi » ( Apoc. 19, 8).

Nell’altra categoria, invece, il Maestro pone coloro che sono abituati a ripetere: «Signore, Signore». Essi vivono una vita di parole; compiono un servizio in parole; manifestano un cristianesimo a parole e quando giunge il gran giorno procacciano la giustificazione con le parole. Hanno trascorso la loro vita esclamando: «Signore, Signore»; e davanti al giudizio ripetono : «Signore, Signore». Ma Iddio non giustifica un cristianesimo teorico e la sentenza che colpisce questi impenitenti parlatori è più eloquente di mille sermoni su questo argomento: «Io non vi conobbi giammai!» (Matteo 7, 23). Giammai! Non soltanto dice la sentenza: «Non vi conosco oggi», ma «Non vi conobbi giammai».

Non vi conobbi quando voi predicavate il mio nome nelle vostre chiese; non vi conobbi quando preparavate i vostri programmi; non vi conobbi quando facevate professione ed ostentazione di religiosità. Non vi conobbi giammai. La realtà che ci appare davanti è delle più tragiche soprattutto se siamo pronti ad ammettere, come già insistentemente detto, che oggi esiste più teoria che pratica. Si odono più parole di quanto non si vedano opere, cioè oggi sono più quelli che si accontentano di dire: «Signore, Signore» di quelli che vogliono fare la volontà del Padre.

Sì, è vero che queste due parole vengono musicate e che gli individui e le chiese riescono con una abilità sempre maggiore a far risuonare e a far brillare la loro ampollosa e coreografica teoria, ma è altrettanto vero che quella che è teoria rimane sempre teoria. I sermoni possono essere sempre più brillanti; la teologia può divenire sempre più fonte di speculazioni; le organizzazioni possono essere sempre più perfette, i programmi più interessanti, le proprietà ecclesiastiche più copiose; direi anche le opere sociali ed assistenziali più numerose; se il cristianesimo non viene portato sul terreno spinoso della volontà di Dio, rimane, al pari di qualsiasi altra religione, esclusivamente un interessante sistema filosofico.

Quello che si dice generalizzando, si può ripetere nell’applicazione individuale. Possiamo essere membri di chiesa; possiamo essere attivi nel seno della comunità; possiamo essere solleciti nello evangelizzare gli altri, ma se il nostro cristianesimo è soltanto teorico, è soltanto di parole, cioè se il nostro cristianesimo non è la volontà di Dio in noi, noi non siamo cristiani.

Possiamo ripetere molte volte ogni giorno: «Signore, Signore», ma se non rinunciamo a noi stessi, ai nostri affetti, ai nostri interessi per seguire Dio nella via della Sua volontà, noi non siamo cristiani. Gli ordini di Dio sono sempre sovrani nella nostra vita? Seguiamo noi quelle parole divine che vogliono condurci verso la perfezione in Cristo? (Rom 8, 29). Risplendiamo in ogni cosa della luce della grazia e dell’amore? Ripetere : «Signore, Signore» è solo cosa dolce e santa, quando, ricordiamolo, dietro questa espressione di sottomessa fedeltà, regna nella nostra vita tutta la volontà di Colui che chiamiamo: «Signore».