PROFEZIA E INTERPRETAZIONE

Era una domenica mattina; un improvviso silenzio scese sull’assemblea, mentre un fratello si alzò in piedi e parlò in lingue. Il messaggio era scorrevole ed aveva le cadenze e la dizione di un discorso grammaticale, anche se le parole non erano intelligibili. Il mio cuore esultò ed aspettai con ansia l’interpretazione.

Il fratello si sedette. Senza una pausa un altro si alzò per dare l’interpretazione. Ascoltai attentamente e avidamente, ma subito dopo un profondo senso di delusione s’impossessò di me. Cercai di dare una spiegazione caritatevole circa la sincerità del fratello, restava comunque il fatto che quanto aveva proferito mancava di autorità e di profonda qualità spirituale, al contrario del messaggio in lingue. Non aveva detto nulla che ne valesse la pena.

Mi sentii defraudato quella mattina, perché, con il resto della congregazione, ero stato posto nell’attesa di un messaggio edificante per lo Spirito, mentre invece quel che era seguito era stato un insieme disordinato di osservazioni.

Tutto ciò è nocivo, perché disonora Dio, discredita l’opera dello Spirito Santo e fa nascere nei riguardi dei doni spirituali uno spirito di cinismo, che può portare gli individui e qualche volta intere congregazioni a voltare le spalle alle vere pratiche del Nuovo Testamento.

Le parole di Paolo in riguardo all’uso del dono della profezia, che si riferiscono anche al dono dell’interpretazione, sono molto importanti e debbono continuamente essere sottoposte alla nostra attenzione. Consideriamole perciò nuovamente.

Colui che profetizza deve comprendere la natura del dono dello Spinto.

Insieme con tutti gli altri doni, la profezia è una manifestazione soprannaturale. «Or tutte queste cose opera dell’uno e medesimo Spirito, distribuendo particolarmente i suoi doni a ciascuno, come Egli vuole» (1 Cor. 12:11). Si differenzia dal predicare e dall’insegnare, perché mentre questi sono il risultato di studio e preparazione umani, la profezia è il risultato della spontanea, non premeditata ispirazione dello Spirito. La profezia può qualche volta aver luogo nel contesto della predicazione, perché ci sono momenti in cui sia il predicatore e sia la congregazione sono consapevoli di una unzione particolare nel corso del sermone, che altrimenti sarebbe stato «normale».

È evidente dalle Scritture che vi sono diversi livelli di profezia. I «santi uomini di Dio», i quali «hanno parlato, essendo sospinti dallo Spirito Santo» (2 Pietro 1:21) appartengono ad una categoria particolare, perché le loro parole sono riconosciute nelle Scritture come l’infallibile rivelazione per mezzo della quale ogni altro insegnamento deve essere provato.

Paolo faceva appello a questa specie di autorità per i suoi stessi scritti (1 Cor. 14, 37, 38). È significativo il fatto che Paolo classifichi l’esercizio del dono della profezia nella chiesa locale ad un livello inferiore, dichiarando che deve essere soppesato prima di essere definitivamente accettato. Ciò nonostante, il Nuovo Testamento considera questo dono come una valida sorgente di ricchezza spirituale da desiderarsi con serietà.

 Una cosa è comune alla profezia ad ogni suo livello: la direttiva comunicazione dei pensieri di Dio tramite i canali umani; nella profezia lo Spirito Santo, usando le menti e le bocche dei profeti, trasmette il messaggio da parte di Dio. È soprannaturale nell’ispirazione e nell’origine, anche se fa uso del vocabolario e delle espressioni umani. Pertanto la vera profezia si verifica soltanto tramite l’iniziativa dello Spirito. Il profeta non è mosso dalle sue meditazioni, dalle sue sensazioni, o dalla valutazione della situazione attorno a lui, ma dallo Spirito Santo che direttamente scende su lui.

Geremia 20:9 descrive la sua esperienza, in cui la sua naturale riluttanza a parlare la Parola del Signore era sopraffatta dalla pressione della sollecitazione divina sopra di lui, che lui descrive come «un fuoco ardente chiuso nelle ossa; e mi sforzo di contenerlo ma non posso». Vi era un contrasto tra la naturale esitazione del vero profeta e la facile sfrontatezza degli uomini auto-ispirati che erano pronti a proferire quel che amavano credere fosse profezia: «Io non ho mandato questi profeti; ed essi sono corsi; io non ho parlato loro, ed essi hanno profetizzato» (Geremia 23:21).

Geremia fa notare la differenza tra il vero e il falso: soltanto colui che ha assistito al consiglio dell’Eterno, che ha prestato orecchio e udito la sua Parola è nella posizione di profetizzare nel modo giusto (Geremia 23:18,22). Questo si riferisce al più alto livello della profezia, ma è ugualmente vero per ogni altro livello. L’uomo o la donna che esercitano il dono della profezia devono stare molto davanti al Signore in umile preghiera, per imparare a discernere quello che è il suggerimento dello Spirito Santo da quello che è semplicemente il prodotto dei propri pensieri e sensazioni.

È solenne dire: «Così parla il Signore». Meglio essere «pronti ad ascoltare e lenti a parlare» come Geremia, piuttosto che essere precipitosi nel proferire parole superficiali come gli indegni contemporanei del profeta.

Se la profezia e l’interpretazione sono il risultato dell’ispirazione dello Spirito Santo, dovremmo aspettarci che esse siano degne dell’intelligenza e della dignità che sono le caratteristiche dello Spirito. Ciò non significa che ogni messaggio debba essere espresso in un dato modo, perché lo Spirito di Dio usa le espressioni di colui che Egli ispira, e ciò significa che un messaggio sarà espresso con termini più culturali di un altro. Ciò è anche evidente nelle Scritture, in cui le epistole di Pietro, il pescatore differiscono da quelle di Paolo, il rabbino di elevata cultura; ma la qualità spirituale e l’autorità sono comuni ad entrambi. La stessa cosa dovrebbe potersi dire di ogni messaggio dello Spirito. Sia se espresso attraverso il linguaggio semplice, diretto, terra-terra, di colui a cui è stato negato il privilegio di una più alta educazione culturale o tramite il linguaggio più sensibile e immaginativo di qualcuno con un temperamento artistico, il messaggio dovrebbe contenere un’indubbia nota di autorità e pertinenza per i suoi ascoltanti. Se è Dio che l’ispira, avrà un contenuto degno di esser detto e in modo tale da attrarre l’attenzione e il rispetto degli ascoltanti sinceri e intelligenti.

Niente che sia inferiore al meglio è abbastanza buono per il servizio di Dio. È la solenne responsabilità di tutti coloro che esercitano i doni dello Spirito di farlo nel modo che porti gloria a Dio e vero aiuto al suo popolo. È necessario che esaminiamo noi stessi per vedere se il nostro ministerio adempie le qualità scritturali.

Quando proferisco una profezia o una interpretazione, il mio è un riflesso automatico, qualcosa che faccio per abitudine regolarmente, oppure è una fresca e genuina sollecitazione dello Spirito Santo? al termine, gli ascoltanti sono stati veramente arricchiti con una parola da parte di Dio, oppure hanno semplicemente ascoltato la ripetizione di uno stock di frasi e di un cliché ormai logorato?

Poniamoci la domanda: Sono entrato nel locale di culto pregando: «Signore, a meno che non sia proprio Tu che desideri che io parli all’assemblea, tienimi al mio posto. Aiutami a distinguere tra le sollecitazioni del mio spirito e la guida genuina dello Spirito Santo», oppure sono entrato nel locale di culto speditamente e automaticamente mi sono alzato in piedi per interpretare, non appena qualcuno ha terminato di dare un messaggio in lingue?

Queste domande forse ci infastidiscono e ci irritano, nondimeno dobbiamo porcele se desideriamo tenere lontani dalle nostre riunioni i falsi fuochi e mantenere pura la nostra adorazione. La vera presenza dello Spirito si realizza in «fiumi d’acqua viva» che scorrono freschi dal trono di Dio e non nelle lente acque stagnanti di una fraseologia di seconda amano. Abbiamo bisogno, pertanto, di pregare, affinché Dio ci salvi da un terz’ordine e ci tenga nella posizione in cui lo Spirito Santo possa in maniera genuina muoversi in noi e attraverso di noi.

I privilegi della nostra grande eredità pentecostale ci rendono grandemente responsabili. I doni dello Spirito non sono giocattoli per gli immaturi, ma del materiale di gran valore per la Chiesa nel suo grande compito di adempiere il ministerio di Cristo nel mondo. Pertanto, è imperativo che noi maneggiamo questi beni preziosissimi con la massima cura. La chiesa locale deve cercare i doni migliori, ma deve anche insistere affinché coloro che li esercitano lo facciano nella perfetta guida dello Spirito.

A meno che non siamo in modo chiaro e genuino mossi dallo Spirito Santo ed obbediamo alle sue sollecitazioni, corriamo il pericolo di proferire semplicemente pensieri umani con il pretesto di parlare tramite i doni. Ciò ci porta ad un altro importante principio.

Colui che profetizza deve conoscere la vera funzione del dono.

La più chiara definizione della profezia la troviamo nelle parole di Paolo in 1 Corinti 14:3. È evidente che in questa generale classificazione Paolo includa anche l’interpretazione (v. 5). Tre parole importanti sono usate per assommare la funzione della profezia ed esse sono degne di un esame più attento.

Edificazione. Questa parola deriva dal greco “oikodome”, che significa «costruire una casa» ; cioè «edificare». Questa parola è citata sette volte nei «paragrafi pentecostali» della lettera di Paolo ai Corinti, e ciò ci ricorda che lo scopo della profezia nell’assemblea dei credenti deve essere costruttivo. È vero che qualche volta sono necessarie alcune demolizioni prima di poter iniziare a costruire, ma a meno che i bulldozer non siano seguiti dai costruttori, i risultati saranno soltanto rovine.

Purtroppo, è triste dover ammettere che molte comunità sono state lacerate e fatte a pezzi dalle parole dure, denunce prive d’amore da parte di coloro che hanno creduto di essere dei moderni Giovanni Battista, autoritari e senza compromessi. La parola dello Spirito è sempre positiva. Egli non demolisce mai senza poi ricostruire. La voce genuina dello Spirito avrà sempre questa nota positiva.

Esortazione. Questa parola è familiare, paraklesis, dalla stessa radice del nome che Gesù diede allo Spirito Santo: «il Consolatore». Fondamentalmente significa «sostenere, incoraggiare». Nuovamente, l’idea è positiva; non mira ad accusare, ma a sostenere, proprio come i sostenitori di un corridore lo incoraggiano con le loro grida quando la competizione è al culmine.

La funzione della profezia o dell’interpretazione non è quella d’intimidire il popolo di Dio con feroci minacce di giudizio, ma quella d’ispirarlo e incoraggiarlo a raggiungere altezze sempre più elevate di devozione e ad osare per Cristo.

Conforto. Questa parola ha un’enfasi tutta particolare. Deriva dalla parola greca “paramuthia” che significa «parlare intimamente» a qualcuno. Esprime un sentimento di tenerezza, il sussurrare parole di consolazione. Giovanni la usa per descrivere i giudei che confortavano Marta e Maria per la perdita del fratello (Giov.11:19). Paolo la usa in 1Tessalonieesi 2:11 per descrivere la maniera tenera con la quale un padre cerca di educare il proprio figlio, e in 1 Tessalonicesi 5:14 per indicare come i cristiani forti dovrebbero «dare coraggio a coloro che sono ansiosi».

Paolo ci dà ancora un altro pensiero circa la funzione della profezia in 1 Corinti 14:31: «Tutti, uno ad uno, potete profetizzare; affinché tutti imparino e tutti siano consolati». La funzione della profezia in questo caso sarebbe quella d’impartire conoscenza o istruzione.

È evidente da questi versi che l’uso della profezia nell’ambito dell’assemblea è quello di un aiuto spirituale attivo, come pure incoraggiamento e conforto per coloro che ne hanno particolarmente bisogno. L’enfasi maggiore è chiaramente positiva. Mentre, per quanto concerne le Scritture, leggiamo che sono atte «ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia» (2 Timoteo 3:16), la profezia sembra essere limitata in generale all’incoraggiamento.

Anche se vi sono particolari circostanze in cui la profezia può essere di particolare aiuto per qualcuno singolarmente, non vi sono Scritture che sostengano che si debba cercare tramite questo dono la guida personale. A questo punto è importante porre nuovamente l’enfasi sulle parole di Paolo: «Colui che profetizza edifica la chiesa».

Colui che profetizza deve accettare le regole scritturali.

Paolo insiste nel dichiarare che il ministerio profetico è ugualmente sottoposto alle regole delle Scritture (1 Corinti 14:37,38). Il profeta è sottoposto a certi limiti ben definiti e non può mai pretendere di avere autorità e potenza superiori a quelle che Dio gli permette. Egli deve agire con sincera fede (Romani 12:6).

Alcuni sembra che abbiano dato a questo verso il significato di «congettura». La fede per alcuni significa: aprire la bocca nella speranza che Dio la riempia. Come i temerari che non sanno nuotare, chiudono gli occhi e saltano nell’acqua, sperando che l’annaspare e l’agitarsi li mantenga a galla. Così essi, che siano certi che è Dio che li muova a parlare o non, alzano la voce e dicono: «Così dice il Signore» sperando che qualcosa avvenga. Più spesso di quel che immaginano, i loro balbettamenti e pensieri sconnessi rivelano quanto insicura la loro fede realmente sia.

Profetizzare scendo la proporzione della propria fede non significa tutto ciò. La fede biblica è sempre basta su di una comprensione della Parola di Dio (Romani 10:17), e consiste in una risposta intelligente e obbediente a quel che il credente sinceramente comprende della mente di Dio.

Per quanto concerne la profezia ciò non significa obbedire ad un capriccio o a un’immaginazione, ma alla sollecitazione dello Spirito Santo; significa che io non parlo perché ho l’abitudine di farlo, oppure per salvare dall’imbarazzo qualcuno che ha parlato in lingue, oppure perché mi sembra che il culto non sia pentecostale se non vi è una manifestazione dei doni spirituali, ma solo perché sono consapevole di una genuina sollecitazione dello Spirito Santo.

La fede in questo caso è l’obbedienza del mio spirito all’iniziativa dello Spirito Santo. Non è certamente un pio salto nel buio.

Egli deve accettare l’ordine scritturale.

Paolo afferma: «tutti, ad uno ad uno, potere profetare» (1 Corinti 14:31), ma è chiaro ch’egli non si aspetti che ciò possa avvenire nel corso di un culto. Il verso 29 lo chiarisce, mentre il dono della profezia può essere esercitato da tutti, il suo esercizio deve essere limitato a due o tre messaggi in ogni riunione di culto.

Egli deve esercitare l’autodisciplina.

«Gli spiriti dei profeti non sottoposti ai profeti» (1 Corinti 14:32). Dio stesso è un Dio d’ordine e di armonia (v. 33), e le manifestazioni dello Spirito debbono ugualmente essere razionali e ordinate.

È importante tenere sempre presente che l’unzione dello Spirito non ci chiede mai la perdita dell’autocontrollo. Si può esercitare una repressione sul proprio spirito finanche quanto è sotto la sollecitazione dello Spirito Santo, e se il momento non è propizio si dovrebbe farlo. Dire, quando il messaggio è stato inopportuno e sconveniente: «Non potevo farne a meno», è un’offesa contro i principi biblici cardinali in riguardo ai doni spirituali.

Non dovrebbero esservi messaggi in lingue se non intrepretati.

Se non è presente qualcuno che possa interpretare, dobbiamo esercitare limitazione (v. 28). Questo consiglia coloro che visitano un’altra assemblea di usare una tale restrizione, dal momento che non sanno se vi è qualcuno che possa interpretare, né i membri della comunità conoscono lui.

Non dovrebbe esservi alcun monopolio.

Nessuno dovrebbe monopolizzare né la profezia e né l’interpretazione (v. 30). I doni sono distribuiti dallo Spirito «che li distribuisce a ciascuno in particolare com’Egli vuole» (1 Corinti 12:11). Non è scritturale che sia sempre una persona ad esercitare il suo dono, mentre gli altri non ne abbiano l’opportunità. In questa situazione, naturalmente, la reticenza indebita da parte di alcuni è tanto responsabile quanto la sollecitudine da parte di altri.

Non dovrebbero esserci messaggi sconvenienti.

«Con decoro e con ordine» (v. 40), è la regola scritturale. Uomini di temperamenti diversi reagiscono in maniere differenti, ma non c’è alcuna scusante per ciò che è sconveniente. Grida inopportune, pose, gesti o fraseologie non sono evidenze dell’ispirazione, ma piuttosto dell’opposto.

Il vero pentecostalismo non si misura dalla frequenza o dal numero delle manifestazioni dei doni dello Spirito, ma dalla loro qualità. Il ministerio dello Spirito è quello di glorificare il Signore Gesù (Giov.16 :14), qualsiasi manifestazione dei doni che non raggiunga questo scopo è, per dire il minimo, sospetta. Cerchiamo di eccellere.

JOHN LANCASTER