di Roberto Bracco. – Qualche volta riferendoci ad alcuni servitori di Dio del passato o del presente, diciamo: «Essi sono, o sono stati grandi cristiani». Questa frase contiene un errore: non ci sono «grandi cristiani», perché chi è veramente cristiano, senza l’aggiunta di aggettivi, ha raggiunto il massimo della grandezza consentita ad un uomo finito. Non ci sono «grandi cristiani», ma solo «cristiani» e «piccoli cristiani ». I primi abbracciano il piano della redenzione e della santificazione per intiero, i secondi si limitano ad afferrare qualche rara manciata del dono di Dio. E quindi non vogliamo incorrere nell’errore di definire grandi alcuni cristiani perché folle di credenti professanti il cristianesimo sono piccoli, ma vogliamo riconoscere con precisione la realtà alla luce della rivelazione divina.
Quanto esposto potrebbe sembrare un vizioso gioco di parole, vano nella sua essenza e sterile nelle sue conseguenze; invece, a nostro avviso, riveste un’importanza pratica di non valutabili conseguenze.
Quando diciamo «grandi», noi classifichiamo quelli che sono semplicemente cristiani come una categoria «fuori serie» collocata all’apice di una scala; una categoria se non di privilegiati, almeno di esseri eccezionali che vanno riguardati con ammirazione e verso i quali non è inopportuno mantenere una rispettosa distanza. Ci sembra superfluo parlare di pericolo: uno stato mentale simile non costituisce un pericolo perché è in se stesso una rovina e se noi rimaniamo schiavi di concezioni di questo genere, continueremo inesorabilmente a vivere un surrogato del cristianesimo o, se vogliamo essere più generosi, un cristianesimo parziale che ci relegherà fatalmente ai margini dei piani di Dio.
La legge è inesorabile: «cristiani» e «piccoli cristiani». Cioè: «simili a coloro le cui testimonianze ci sovrastano per sublimità e potenza» o «poveri spiriti rachitici, incompiuti e atrofizzati nelle funzioni cristiane».
Rinunciare totalmente al mondo, devolvere per intero le proprie ricchezze, affrontare i sacrifici più duri o le persecuzioni più crudeli, non sono gli atti dei «grandi» cristiani, ma semplicemente la manifestazione dei cristiani o, *se vogliamo essere precisi fino all’esagerazione, dei «veri» cristiani. I cristiani sono tali in quanto sono discepoli di Cristo e perciò nessun atto, per grande che sia dal punto di vista umano, è troppo sublime per essi: anzi ogni atto definibile sublime rappresenta la manifestazione degli istinti del cristiano.
Piccoli cristiani, risvegliamoci! Non abbiamo di fronte una schiera di grandi dalla quale possiamo essere separati sen za compromissione, ma abbiamo una folla di cristiani alla quale ci possiamo mescolare o dalla quale possiamo rimanere tragicamente esclusi.
Piccoli cristiani, la vita che ci sfugge sotto le mani è vana; cessiamo di dare a essa il valore eterno e infinito.
Piccoli cristiani, il denaro che maneggiamo non ci appartiene; desistiamo dal desiderio di occultarlo per i nostri fini egoistici.
Piccoli cristiani, Iddio è il bene supremo: manteniamoci’ ogni istante legati a Lui.
Piccoli cristiani, i beni celesti, le promesse divine, rappresentano tesori duraturi; «cerchiamoli con avidità spirituale incessantemente.
Piccoli cristiani, il mondo precipita nel caos e nella perdizione: affanniamoci per portargli la parola della salvezza.
Piccoli cristiani, che cosa vale circondarsi di mille cure e di mille comodità; che cosa vale perdersi in mille problemi e mille speculazioni, quando Cristo ci chiama ogni giorno sul Suo sentiero?
Piccoli cristiani, perché perdere ore e anni nelle fatiche che concernono «la vita e il mondo, perché ritenere con cura i beni di quaggiù, quando il Cielo ci attende?
Piccoli cristiani, perché difendere con accanimento la propria reputazione, la propria personalità, il proprio nome, quando Cristo ci ha promesso un nome nuovo?
Piccoli cristiani, perché custodire con sentimento idolatrico la propria vita quando attendiamo la glorificazione serbata ai fedeli?
In ognuna di queste esortazioni, in ognuna di queste domande è contenuta la tragedia della nostra vita. Noi vogliamo adattare il cristianesimo alla nostra piccola personalità e quasi vogliamo cambiare il significato agli enunciati chiarissimi del Cristo. Ma questa nostra vana pretesa non sfiora neanche il monte di granito che ci sta davanti: il cristianesimo rimane quello che è, e solo adattando la nostra vita ad esso noi usciremo dalla piccolezza del nostro contingente per afferrare una verità che ci darà il privilegio di chiamarci cristiani.
Su tale traguardo gli atti normali del cristianesimo non ci appariranno più, come già detto, trasfigurati in un eroismo eccezionale, perché fino al limite della rinuncia alla nostra vita, fino al limite dell’abbandono dei nostri beni, fino al limite dell’annichilimento della nostra personalità, fino al limite del superamento di ogni benessere terreno, fino al limite della distruzione di ogni passione, di ogni vizio, di ogni istinto, di ogni peccato, tutto ci sembrerà logica e normale conseguenza della nostra vita rinnovata in Cristo.