NON CONOSCO QUELL’UOMO

di Roberto Bracco  –  E ancora, poco dopo, coloro che erano lì dicevano a Pietro: «Certamente tu sei uno di quelli, anche perché sei Galileo». Ma egli prese a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, il gallo cantò. Allora Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detta: «Prima che il gallo abbia cantato due volte, tu mi rinnegherai tre volte». E si abbandonò al pianto.  (Marco, 14:70-73 )

«Non conosco quell’uomo» frase terribile, uscita dalle labbra mendaci di Pietro. Questa frase segna una spaventevole caduta che rappresenterà però la più salutare, benché la più amara fra le lezioni ricevute da Pietro, apostolo dal carattere impulsivo, ma dal cuore generoso.

Pietro aveva avuto un’ascesa rapida nel mezzo degli apostoli del Signore ed egli stesso si era accorto e compiaciuto del suo evidente progresso. Dal giorno che aveva riconosciuto e confessato: « Tu sei il Cristo, il figliuolo dell’Iddio vivente », egli si era sentito il più illuminato ed il più spirituale nel mezzo della piccola compagnia.

Pietro era certo che gli altri avrebbero potuto abbandonare il Maestro, ma egli sarebbe rimasto fedele fino alla morte ed anche nel significativo episodio del lavamento dei piedi, Pietro Aveva cercato di sottolineare la maturità spirituale della sua vita in relazione all’immaturità degli altri discepoli: “Tu Signore lavare i piedi a me? Tu Signore non mi laverai mai i piedi!

Gli altri potevano acconsentire, ma lui no, perché se gli altri non avevano luce e sensibilità, non si poteva dire la stessa cosa di lui.

Era necessaria, per questo servo di Cristo una lezione sferzante come quella del rinnegamento per imparare che nessuno può stare ritto sopra il proprio progresso, qualche volta immaginario o sopra la propria spiritualità, frequentemente apparente, perché forza e potenza derivano soltanto da una completa fiducia nell’aiuto costante di Dio. Anche colui che ha segnato il suo cammino con le pietre miliari di un progresso vero e di una spiritualità reale, può ottenere la vittoria appoggiandosi, non su se stesso, ma sul braccio onnipotente dell’Eterno.

Quando la prova viene e viene per tutti, un fondamento soltanto resiste e non è certo quello della nostra personalità, delle nostre esperienze, del nostro progresso o delle nostre forse incaute promesse. Anche per Pietro venne la prova e dobbiamo riconoscere che fu una prova terribile soprattutto se la inquadriamo nei vertiginosi e sconvolgenti avvenimenti susseguitesi nelle ore precedenti; nella prova però il progresso e la spiritualità di Pietro non appaiono e non apparirono neanche più le sue solenni dichiarazioni, e l’uomo che aveva proclamato: Tu sei il Cristo! ed il discepolo che aveva promesso: Se tutti ti abbandoneranno io rimarrò con Te! è capace soltanto di dire:

« Non conosco quell’uomo ».

Notate: per Pietro non e più il Cristo, il figliuolo dell’Iddio vivente, ma è soltanto un uomo ed anzi un uomo che egli non ha mai incontrato, mai conosciuto. Pietro, come hai potuto rinnegare fino a questo punto il tuo Maestro, il tuo Salvatore?

Ma piuttosto che giudicare Pietro pensiamo a noi stessi o alla nostra fragilità,` perché forse anche noi potremmo fare la medesima amara esperienza. Se ci appoggiamo sopra la nostra maturità cristiana e perdiamo quel profondo senso di fiducia che ci fa ricercare sempre l’aiuto di Dio, possiamo facilmente cadere nel fango della sconfitta più ignominiosa e dopo aver fatte le dichiarazioni e le promesse più ardenti possiamo giungere alle espressioni d’infedeltà e di tradimento più obbrobriose.

Per questa ragione lo Spirito Santo ci avverte: « Chi pensa di star ritto, riguardi che non cada… ». Anche gli scalini più elevati del sentiero cristiano sono pericolosi e non c’è spiritualità capace di preservarci dalla caduta quando noi confidiamo soltanto in noi stessi.

L’apostolo Paolo, il gigante della fede, scriveva ai suoi giorni: “…affinché non m’innalzi, mi è stato dato un angelo di Satana…” . Pensate, Paolo stesso correva il pericolo di innalzarsi, cioè di cadere nell’orgoglio e se Paolo poteva cadere, tutti possiamo cadere nel combattimento, perché la vita cristiana è armonicamente proporzionata e tutti, in fondo, ci troviamo di fronte alle stesse probabilità di vittoria o di sconfitta: vittoria nella fiducia in Dio, sconfitta nella fiducia in noi stessi.

“Non conosco quell’uomo”.

Forse, Pietro non avrebbe pronunziate queste terribili parole se avesse approfittato dell’opportunità che il Maestro stesso gli aveva offerto poche ore prima; nel Getsmani gli era stata data l’occasione di rinnovare la propria comunione con Dio, di alimentare la propria personalità in Dio, ma Pietro si era lasciato sopraffare e si era addormentato per “tre volte” consecutive; tre volte esatte, come le tre sconfitta nel rinnegamento.

Ah, se Pietro avesse gridato, agonizzato, vegliato come il suo Signore…!! Ma Pietro non sentiva lo stesso bisogno spirituale di Gesù, era “un arrivato” e poteva anche concedersi di dormire prima che scoppiasse il terribile conflitto.

E Pietro pianse amaramente; con queste parole l’Evangelo ci fa sapere che la lezione è stata dura per l’apostolo, ma e stata anche salutare; egli riconosce finalmente se stesso, vede con chiarezza sconcertante la propria debolezza, la propria pusillanimità. Ora non si sente più maggiore degli altri; non si sente più sicuro del suo coraggio, della sua spiritualità; si sente quale veramente è, un povero uomo desideroso di amare Gesù, ma sottoposto a tutte le limitazioni e le imperfezioni della propria natura.

Quando in seguito Gesù rinnova indirettamente il ricordo della sconfitta, Pietro dimostra non soltanto il pentimento del cuore, ma anche, ed anzi soprattutto di aver imparato la lezione, Gesù infatti gli chiede: “Pietro mi ami tu, più che costoro?…”

Più che costoro? Ottima opportunità per confermare la propria superiorità, la propria spiritualità, ma Pietro quasi evade la domanda e nella risposta pensa soltanto ad esprimere il proprio debole sentimento. Egli non è più disposto a fare dichiarazioni audaci ed avventate; si abbandona umilmente all’onniscenza e alla compassione del Redentore: “Tu sai ogni cosa, tu sai che io ti amo…”.

Nelle parole di Pietro risuona un mesto poema intessuto d’affetto e di debolezza e colui che lo canta sa che non può offrire la forza della propria personalità, perché questa lo indurrebbe soltanto a ripetere: “Non conosco quell’uomo!”

Pietro canta il suo poema per offrire amore, l’amore di un cuore debole, vacillante, ma sincero; l’amore che rappresenta la sola offerta che il credente può dare a Dio e che quindi rappresenta anche per noi la sola cosa che dobbiamo desiderare di porre fedelmente sull’altare eterno della consacrazione.

La conclusione della lezione ci ricorda che se presumiamo di vincere le battaglie cristiane con la forza della nostra personalità e delle nostre precedenti conquiste, noi precipiteremo nelle più infamanti sconfitte; ma se ci convinciamo che ogni debolezza è in noi ed ogni forza in Dio, noi giungeremo alle più luminose vittorie mediante l’aiuto che chiederemo a Lui ed otterremo da Lui in ogni circostanza.

La terribile frase di Pietro sia quindi per ognuno di noi un ammonimento severo; lasciamola spesso risuonare al nostro orecchio in tutta la crudezza del suo aspro accento affinché ci sia stato facile pregare e chiedere: “O Dio salvami dal dire: “Non conosco quell’uomo!”