MOMENTI DI GLORIA

La storia di ERIC LIDDEL, medaglia d’oro nei 400 mt. piani alle Olimpiadi di Parigi, 1924.

La Scozia amava questo ragazzo. Egli dimostrò sul campo proprio quel tipo di determinazione, vigore ed eccellente onestà che, sebbene poco dichiaratamente, gli Scozzesi amavano vedere in un connazionale. Il giorno della sua laurea gli fu posta sul capo la corona olimpica e fu presentato con un poema scritto in greco, con una particolare tecnica d’incisione, l’acquaforte in cui lo si decantava con onore.

Una parata le accolse per le strade di Edimburgo tra le grida di acclamazione degli abitanti. L’anno seguente, quando Liddel partì per un viaggio missionario in Cina, fu di nuovo pubblicizzato e scortato alla stazione ferroviaria in una carrozza dalle decorazioni molto elaborate. In Cina e Giappone, lontano dalla scena, gli venne chiesto ancora di continuare ad apparire in eventi sportivi. Venne quindi acclamato, nell’altra parte del mondo, da persone che avevano sentito parlare di questo straniero agile con i piedi! Nelle due occasioni in cui ritornò in Gran Bretagna, attirò ancora folle di gente, a riprova del suo indiscusso status di celebrità. Quando morì, fu ricordato in servizi funebri in suo onore in tutto il mondo. Negli anni successivi numerosi riconoscimenti, fondazioni club sono stati istituiti in sua memoria.

Eric Liddel raggiunse i più alti livelli dell’atletica, cominciando a ottenere riconoscimenti per la sua abilità di giocatore di rugby e in generale per le sue doti sportive, quando aveva ancora sedici anni e frequentava la scuola. Capitanò, oltretutto, anche la squadra di cricket del liceo e stabilì il record scolastico dei 100 metri piani. Quando entrò all’Università di Edimburgo, nel 1920, cominciò subito a gareggiare come corridore e a giocare a rugby per le partite universitarie e della nazionale scozzese. In breve tempo vinse gare sia per la Scozia che per l’intero Impero Britannico in competizioni mondiali.
Tra le figure sportive degli anni ’20, oggi Liddel viene subito ricordato, mentre i nomi e le gesta di tutti gli altri suoi colleghi sono stati dimenticati. Ma è grazie a un grande film, “Chariots of fire” (Momenti di gloria,1981), in cui viene narrata la sua vittoria alle Olimpiadi di Parigi del 1924, che divenne una personalità nota a tutti. Eric Liddel gode, infatti, di fama rinnovata.

L’ Eric Liddel uomo resta comunque piuttosto sconosciuto. È vero che il film Momenti di gloria ha messo in risalto le sue convinzioni cristiane e la sua testimonianza: dal suo messaggio evangelistico al rifiuto di gareggiare nei 100 metri di domenica alle olimpiadi di Parigi (l’idea di correre nel giorno del Signore gli appariva abominevole). Ma cosa fece durante i rimanenti vent’anni della sua vita, dopo aver vinto la medaglia d’oro? E cosa nei vent’anni precedenti il successo olimpico? Eric Liddel non aveva il genio teologico di Giovanni Calvino, le capacità letterarie di C.S. Lewis, l’impegno politico di Jimmy Carter o il ministerio internazionale di Billy Graham. Tuttavia, la sua vita merita di essere rivista e non solo per le sue prodezze atletiche, per il suo coraggio o la sua fermezza nel rimanere delle sue convinzioni, ma perché riflette un’ubbidienza radicale a Gesù Cristo.

Colui che mi onora

Rifiutandosi di partecipare alla gara dei 100 metri, Eric Liddel obbedì risolutamente a ciò che gli veniva chiesto dal suo Maestro, anche se i suoi maestri più immediati avrebbero potuto rimproverarlo. Un assistente dell’istruttore di Eric gli fece scivolare tra le mani un messaggio proprio prima della gara dei 400 metri, che recitava: “’Coloro che mi onorano, io li onorerò’. Ti auguro il miglior successo”. L’uomo aveva detto la verità e, provvidenzialmente, Liddel vinse la medaglia d’oro per i 400 invece che per i 100 metri. Anche se non avesse vinto, e soprattutto perché non se lo aspettava, la sua ubbidienza fu esemplare. Questo singolare avvenimento offrì a Liddel una posizione di eccezionalità, non per la rarità della sua ubbidienza ma per il modo spettacolare in cui lo fece.

Il resto della vita di Liddel ci offre un ritratto coerente, fatto di decisioni basate sull’ubbidienza a Cristo.

La sua carriera non può essere separata dal suo cristianesimo: se non poteva essere un atleta cristiano, allora non avrebbe voluto essere un atleta. Non cedette mai alla falsa convinzione che il suo cristianesimo fosse un affare privato, da vivere in modo separato da ciò che faceva normalmente. Non mancano aneddoti riguardo alla sua testimonianza e compassione durante la carriera di atleta.

Uno studente universitario racconta un episodio in cui un ragazzo di colore venne disprezzato da alcuni suoi colleghi atleti. Liddel “andò da lui, lo prese a braccetto e lo coinvolse in un’amichevole conversazione”.

Vengono così descritte la sua buona indole e la sua generosità persino verso i suoi avversari: “Avevo sentito parlare molto di lui e ora lo vedevo. Andavo via con la sensazione di essere stato tes­timone di un gentiluomo che fa tutte le cose che un gentiluomo dovrebbe fare.

In seguito, quando sentii dire che era andato in Cina come missionario, capii di aver visto, quel giorno, un cristiano in azione.”


Il Giorno del Signore
Una delle più importanti decisioni di Liddel fu, senza dubbio, il famoso rifiuto, alle Olimpiadi di Parigi, di concorrere ai 100 metri, in quanto l’evento si teneva di domenica. Sebbene la gara rappresentasse la sua migliore opportunità di vincere la medaglia d’oro, Liddel considerò abominevole l’idea di parteciparvi nel giorno del Signore. Perciò si rifiutò di gareggiare. Questa decisione gli attirò le critiche della stampa e della maggior parte dell’opinione pubblica: fu accusato di non essere patriottico (negando alla Scozia un’opportunità di gloria) e di essere legalista (di interpretare, cioè, alla lettera la legge, fino a estremi assurdi). Ma la perfetta coerenza ai suoi princìpi, nonostante la pressione da essa derivante, gli fece meritare la più grande ammirazione. Liddel descrisse l’ubbidienza spirituale quando sfidò i cris­tiani, dicendo:
“Chiediti: ‘Se sono certo che una cosa è giusta, sarò pronto a perseguirla anche se significherà andare contro ciò che voglio o ciò che ritenevo essere vero? Sarò disposto a perseguirla anche se significherà essere deriso, subire perdite finanziarie o affrontare difficoltà economiche?’ ” L’esperienza di Liddel a Parigi parla forte e chiaro attraverso queste parole che scrisse quindici anni più tardi in Cina. Comunque sia, il giornale universitario “Lo studente”, rispettando il suo rigido modo di vivere la regola del Sabbath, scrisse: Ciò che pensava fosse giusto fare lo ha fatto, non guardando né a destra né a sinistra, non venendo mai meno alle sue convinzioni per ricevere applausi o per placare le critiche. Devoto ai suoi princìpi, non hai mai mostrato, comunque, alcun segno di farisaismo.

Ubbidienza incessante

Nondimeno, concentrandoci unicamente sull’incredibile e onorata carriera dell’Eric Liddel atleta, rischiamo di tralasciare il punto più importante della sua vita. Intanto, il suo record mondiale dei 400 metri è stato superato, da allora, di circa tre secondi. Infatti, molto della sua levatura è spiegato nell’eredità che ci ha lasciato: l’inflessibile ubbidienza a Cristo.

Egli si chiedeva costantemente: “Il sentiero che sto seguendo è in accordo con la volontà di Dio?”

Mentre era ancora uno studente giunse a una svolta importante. Avendo già raggiunto la fama come giocatore di rugby e atleta, gli fu chiesto di far parte dell’Unione Evangelistica degli Studenti di Glasgow, una comunità di studenti universitari che si prefiggeva lo scopo di portare la Scozia a Cristo. Una campagna evangelistica fu tenuta in una città vicina, e gli studenti del G.S.E.U. pensarono che un nome come quello di Liddel potesse attirare l’attenzione della gente. Un giovane membro della comunità avvicinò così Eric per chiedergli di unirsi a loro e aiutarli. Nel bel mezzo di un’agenda già piena d’impegni, l’atleta abbassò lo sguardo per un istante; poi, rialzando il capo, si arrese al servizio di Dio per la causa dei perduti, decisione che più tardi avrebbe identificato come uno spartiacque nella propria vita.

La volontà di offrire sé stesso in modo illimitato per l’evangelizzazione rurale e urbana della Gran Bretagna segnò l’inizio di una nuova vita. La sua politica, che consisteva nel non rifiutarsi mai di parlare, venne inserita nella sua agenda ricca d’im­pegni, così come solo un fidanzamento potrebbe esservi incluso. A volte, ciò si traduceva in una vera e propria maratona di predicazioni, arrivando a parlare in pubblico fino a cinque volte in un solo giorno.

Gli organizzatori delle campagne evangelistiche degli studenti avevano avuto ragione: il nome di Liddel attirava persone nei cortili delle assemblee e le sue parole portarono molti all’ovile.

Poco dopo la sua laurea, la carriera di Liddel arrivò a una nuova svolta. Si recò in Cina, a Tientsin, la città in cui era nato da genitori missionari, per insegnare scienze nel Tientsin Anglo-Chinese College (una combinazione di scuole elementari e superiori), per quello che sarebbe divenuto un servizio di dodici anni. Nonostante l’impegno nell’insegnamento e nella supervisione delle attività sportive della scuola, il punto di riferimento del suo ministerio era la disciplina. La classe e l’atletica erano importanti, ma come il suo biografo scrisse:

“Tutto questo, da solo, non lo avrebbe portato in Cina, né lo avrebbe potuto tenere nello staff del college così a lungo come invece fu e non avrebbe potuto giustificare questa biografia…Fu un discepolo di Cristo completamente dedicato, un uomo a cui interessava soltanto far conoscere, a coloro che gli erano accanto, quella figura di Salvatore e Maestro che significava così tanto per lui.” Quindi, la decisione di Liddel di vivere a Tientsin (il suo secondo punto di svolta) fu ancora una volta motivata da ciò che contava di più nella sua vita: l’ubbidienza alla chiamata di servire Cristo.

Finalmente il terzo punto di svolta gli si presentò dopo più di dieci anni d’insegnamento. Nel frattempo, si era sposato con Florence, dalla quale aveva avuto tre figlie. Si trovò, a un certo punto, ad affrontare la decisione di rispondere alla chiamata all’evangelizzazione della zona rurale vicino Siaolchang, dove la missione aveva bisogno di operai. Per più di un anno fu tormentato dal dubbio se accettare o meno. A causa dell’invasione giapponese, avrebbe dovuto vivere lì, separato dalla sua famiglia, in estremo pericolo. Nel 1936, accettò finalmente l’incarico, nella convinzione che fosse la piena volontà del Signore. Con tutto ciò che possedeva si insediò in quell’area.

Non fu facile, in quanto il suo campo di missione era situato in una zona di guerra. Egli esercitò una vera e propria rinuncia di sé e grandi doti di compassione quando, in varie occasioni, si avventurò nelle zone di campagna per soccorrere soldati feriti affinché ricevessero cure nell’ospedale missionario. Non si curava di quale nazionalità fossero: per dare cure a un sodato cinese avrebbe potuto incorrere nella pena di morte da parte dei giapponesi.

Nonostante ciò, nel febbraio del 1938, viaggiò per cinque giorni in bicicletta verso un tempio abbandonato per soccorrere un soldato cinese disteso e ferito.

Sebbene le forze giapponesi, costituite da un carro armato e trentuno camion pieni di soldati, fossero solo a un miglio di distanza, Liddel insieme a un altro cinese riuscirono a portare quell’uomo e un secondo soldato fino all’ospedale, a tre ore di distanza.

“Sii onesto e chiaro”

La notte precedente questo avvenimento, si chiese come avrebbe reagito se si fosse trovato a doversi confrontare con i giapponesi. Liddel racconta di aver letto Luca 16:10: “Chi è fedele nelle piccole cose è fedele anche nelle grandi e chi è infedele nelle piccole è infedele anche nelle grandi”. Ricorda i suoi sentimenti così: “Era come se Dio lo avesse detto a me: ‘Sii onesto e chiaro’”. Perseverò dunque nella sua missione.

Le truppe armate nemiche passarono loro vicine; durante il tragitto, un aereo volava sulle unità giapponesi che marciavano parallele a loro, poche miglia lontano. Imparò qui una chiara lezione e dimostrò ai due uomini feriti quel tipo di compassione che Gesù Cristo aveva comandato a tutti coloro che si professano Suoi discepoli.

Con la dichiarazione di guerra tra Giappone e Inghilterra, il rischio per i missionari crebbe. Florence e le tre figlie furono inviate al sicuro in Canada, in un esodo di missionari dalla Cina. Tuttavia, molti decisero di rimanere: Eric Liddel era tra costoro. Tutti i missionari stranieri vennero, in seguito, internati dai giapponesi nel campo di Weishein. Qui Liddel serviva gli altri energicamente, insegnando ai ragazzi e organizzando attività sportive nel campo, prodigandosi fino allo sfinimento.

Mentre le varie occupazioni gli indebolivano il corpo, un subdolo tumore al cervello intaccava la sua salute. Come conseguenza della malignità del tumore, iniziò a soffrire di attacchi di depressione che interpretò come segno di mancanza di fede, non potendo comprendere le cause della sua condizione. Dopo poche settimane di dolore, morì nel campo di Weishien il 21 febbraio del 1945.

L’ubbidienza costante e rigorosa di Liddel nel seguire la guida di Cristo, dalle Olimpiadi di Parigi al campo di Weishein, è una meravigliosa sfida per tutti i cristiani. Afferrare ogni opportunità per dare amore agli altri, testimoniare di Cristo e dimostrare fedeltà a Dio.

Di questo Eric Liddel offrì un convincente modello, chiamando sé stesso e gli altri a una vita onesta e di rinuncia. Poniamoci di fronte a noi stessi per osservarci attentamente. Il momento di più intenso coraggio nella nostra vita è quando ci si guarda obiettivamente senza trasalire e senza lamentarsi. Tuttavia, un mero esame di noi stessi che non si traduca in azione risulterà pericoloso. Cosa faremo di ciò che vediamo? L’azione che ne deve risultare è la nostra arresa a Dio.