di Joni Eareckson Tada – “Perché non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità, ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare” (Ebrei 4:15). – Quando pensiamo alle prove e alle tentazioni di Cristo: vero Dio e vero Uomo, di solito pensiamo alla Sua esperienza nel deserto. Alla Sua disperata fame e terribile sete, oppure alle ore più buie nelle quali i Suoi amici Lo abbandonarono. Ci ricordiamo che non aveva un luogo che Gli fungesse da dimora, ci ricordiamo del Suo cammino sulle strade della Galilea, per centinaia di chilometri,
i Suoi muscoli erano doloranti ed i piedi gonfi. Versò vere lacrime; ed infine, quando inchiodarono il Suo corpo su quella rozza croce di legno, Egli non solo portò i nostri peccati, ma divenne peccato per noi. Egli si identificò con ogni aspetto della nostra debolezza umana.
Ma questa profonda identificazione non iniziò con il Suo ministerio pubblico, no. Quando penso al livello al quale Cristo giunse nel sondare le profondità dell’esperienza umana, penso alla Sua nascita.
Persino da bambino Egli si identificò con le nostre debolezze. Non ebbe una cameretta, igienica e pulita, color pastello. Non ebbe un lettino ed un fasciatoio nuovo di fiamma. Né pannolini o borotalco. Nessun giocattolo con carillon, pupazzi od orsacchiotti. Nessuna crema per bambini. Nessun fiocco blu appeso al muro.
Fin dall’inizio del Suo viaggio sulla terra, Gesù simpatizzò con le nostre debolezze. Fece il Suo ingresso nella storia in una stalla maleodorante, con una manciata di paglia come guanciale. L’unica musica che sentì può essere stata il suono di una lira o di un flauto proveniente dalla vicina locanda affollata. Il primo odore che riempì le Sue narici fu quello di paglia ammuffita e di letame. Il Suo primo letto fu una mangiatoia. Il Suo primo fasciatoio fu un pavimento sporco.
Nessuno di noi potrà mai puntare il dito contro Gesù dicendo: “Tu vivi in una torre d’avorio… Non sai cosa significhi…”.
Forse Dio volle che fosse così per insegnarci una cosa. Forse il nostro Padre Celeste voleva che capissimo che nella debolezza c’è forza. Nella povertà, ricchezza. Nell’umiliazione, dignità.
Anche da piccolo, il Signore Gesù ebbe una missione da compiere. Prima ancora di saper parlare, la Sua vita fu un messaggio. La Sua nascita, per molti versi, fu un sermone. Fin dall’inizio Egli dimostrò la portata del Suo amore divino.
Questo è il Sommo Sacerdote al quale offriamo le nostre lodi. Egli è l’unico che noi adoriamo e al Quale innalziamo i nostri ringraziamenti. Abbiamo un Salvatore che simpatizza con le nostre debolezze.
“Accostiamoci dunque, con piena fiducia al trono della grazia…” (Ebrei 4:16).
Perché Gesù lo sa. Perché Gesù capisce.
La storia ed il cielo sfidano chiunque a dire il contrario.