Dal Convento a Cristo.
Il Signore non si è mai stancato di cercarmi. Fin da bambino ho desiderato di servire Iddio, da quando avevo otto – nove anni. Guardando il creato e le bellezze che c’erano in esse, mi resi conto che qualcuno aveva fatto tutto ciò. Nacque in me il desiderio di servire questo Dio che ha creato il cielo e la terra. Essendo di famiglia cattolica, pensai che il miglior modo di servire Iddio era quello di diventare sacerdote della chiesa cattolica. Lo raccontai a mia madre che fu molto contenta, era proprio piena di gioia perché era un onore grandissimo di avere un figlio sacerdote.
Mia madre era una donna molto semplice che nemmeno sapeva dire la parola sacerdote e quindi quando parlava con le amiche diceva: “Mio figlio un giorno diventerà “sarcedoto””. Quando arrivai all’età di 16 anni entrai nel seminario dei francescani, in Calabria, per diventare sacerdote dell’ordine di San Francesco d’Assisi.
Il motivo per cui entrai nel seminario francescano, e non in quello diocesano fu perché eravamo poveri, ma tanto poveri che i poveri stessi ci chiamavano poveri. Perciò non potendo pagare il seminario diocesano, dovetti entrare in quello francescano. Cominciai a studiare per diventare sacerdote, e dopo alcuni anni di seminario, entrai nel noviziato francescano.
Il noviziato è un luogo dove i giovani vengono preparati ad entrare definitivamente e ufficialmente nell’ordine dei francescani. Un anno dove si studiano le regole, e si vede se il candidato è abile a svolgere quella vita. Fin dal principio cambiano il nome del candidato e siccome io avevo un carattere triste, il superiore mi disse: “Ti darò un nome che ti farà diventare felice” e mi diete proprio il nome di Felice. Da allora in poi tutti mi conoscevano come padre Felice, ma in realtà io non ero molto felice in quel tipo di vita.
Ad ogni modo dopo il noviziato entrai nel liceo che loro chiamano Filosofia Scolastica e la studiai per tre anni di fila, poi entrai nel seminario teologico per altri quattro anni. Finalmente arrivò il giorno dell’ordinazione sacerdotale. Fu un giorno molto festivo per me, fu come il raggiungimento di un sogno che avevo accarezzato per tutta la mia gioventù. Quel giorno andammo nella cattedrale insieme ad altri che dovevano essere ordinati. Il vescovo si unse le mani con un olio speciale, poi ci impose le mani sul capo e ci impresse secondo la dottrina cattolica il carattere di sacerdoti. Quando tornai in convento, non riuscii a dormire tutta la notte per la gioia che dovevo provare il giorno dopo quando dovevo dire la messa. La mattina mi vestì dei “paramenti sacri”, e andai a recitare la messa.
Sapevo come dire la messa, mi ero esercitato per mesi e mesi e queste esercitazioni venivano chiamate “messe secche”, in opposizione alla messa vera. Ma quel giorno sentì che non c’era nessuna differenza tra “la messa secca” e la messa vera; era tutto così freddo. Non ricevetti una gioia speciale, nessuna benedizione da parte di Dio; rimasi confuso, tanto che pensavo di aver sbagliato nel recitare la messa. Così andai a trovare il mio superiore e glielo dissi: “Superiore, forse ho fatto qualche sbaglio, ma non ho sentito nulla delle benedizioni che mi aspettavo da parte di Dio”. Il superiore si mise a ridere, e rideva forte, e tra le risate mi disse: “Ma figlio mio, che vuoi sentire? Che vuoi sentire?”. Questo mi dispiacque perché avevo buttato tutti i miei anni studiando per arrivare a sentirmi ridere in faccia.
Cominciavo a stare male, a soffrire per questa nuova esperienza che feci e incominciai a dubitare della realtà della presenza di Gesù, nell’ostia consacrata e nel vino consacrato. Incominciai a dubitare di molte altre cose che mi erano state insegnate in teologia. Arrivai al punto di dubitare anche dell’esistenza di Dio e dire: “Non c’è Dio, non c’è niente, non c’è soprannaturale, dopo questa vita uno va sotto terra e finisce tutto”.
Naturalmente con questa idea nella mente incominciai a commettere ogni sorta di peccato, ogni sorta di mancanza. Durante il giorno mi divertivo come potevo, ma la notte era diventata insostenibile per me, non riuscivo a chiudere occhio, era oramai una tortura, tutta quella delusione, tutta quella mancanza di gioia, quella ricerca di pace che non avevo trovato. Era una disperazione che a volte raggiungeva il parossismo; spesso dicevo a me stesso è meglio che mi tolgo la vita e la finisco con questa esistenza. In quei giorni di disperazione passavo molto tempo giocando a carte con i miei colleghi, a fumare, a divertirmi ma rimaneva sempre troppo tempo per pensare. Il pensare era diventato una tortura per me così incominciai a raccogliere ragazzi per le strade, cercando di educarli nella vita e nella società.
Allora la gente vedeva che ero sempre circondato da centinaia di ragazzi e diceva “Che sant’uomo è don Felice”. Quando passavo nelle strade di Cosenza le donne si chiamavano dal balcone le une con le altre e dicevano “Passa San Felice! Passa San Felice”. Ma io dicevo nel mio cuore; “Se sapessero quel che sono, non mi chiamerebbero santo perché io sono un grande peccatore”. Siccome dal primo giorno chiesi spiegazioni sulle benedizioni di Dio, i superiori incominciarono a tenermi sott’occhio e, all’improvviso, mi trasferirono a Reggio Calabria. Protestai, dissi di no, ma poi alla fine mi convinsero ad andare nel nuovo convento. Qui, senza più la motivazione dei ragazzi che mi impegnavano tutto il giorno, caddi nella solitudine tremenda.
Perché contrariamente a quando si pensa nei monasteri, nei conventi non esiste quella pace di cui la gente pensa. In questi posti c’è la gelosia, l’invidia, un rancore inesplicabile gli uni con gli altri. Non c’è un amico con cui parlare e confidarsi dei problemi interiori. La mia situazione precipitò quando ebbi, diciamo così, il “privilegio” di ascoltare le confessioni della gente. Le persone venivano da me e mi confessavano i loro peccati. Ma la cosa che mi fece molto riflettere era che molti preti e sacerdoti venivano a confessarsi da me e io vedevo che loro avevano gli stessi peccati che anch’io avevo e gli stessi dubbi su Dio, sulla Sua esistenza.
Pensai: “Ma allora non sono solo io che sono così, siamo tutti così!” Questo fatto non agevolò affatto il mio recupero, anzi mi buttò nel pantano del peccato e della dissoluzione. Un giorno camminando per le strade di Reggio Calabria vidi una chiesa che non mi sembrò una chiesa Cattolica, infatti era una chiesa evangelica battista. “Andrò a trovare il pastore” – pensai – “forse diventerò suo amico, forse potrò dirgli il peso che sento dentro”.
Poco dopo presi un appuntamento con lui, dove mi accolse molto cristianamente. Dopo aver parlato del più e del meno, gli raccontai la mia esperienza e che oramai non credevo più in Dio, nel paradiso, nell’inferno e che oramai non credevo più a niente. Il pastore mi disse di leggere la Bibbia, i Vangeli e le lettere di Paolo Apostolo, e avrei incontrato Dio, perché Dio parla attraverso queste pagine. Infatti il pastore mi regalò una copia della Bibbia in lingua italiana. Io avevo la Bibbia in latino, ma non l’avevo mai aperta, e mai letta nemmeno una pagina. Posso dirvi con certezza e sincerità che in tutti gli anni che stetti in Seminario, non conobbi mai un prete che leggesse la Bibbia.
Alcuni dicono: “Ma io ho visto alcuni preti che hanno la Bibbia”, ma quella non è la Bibbia, quello è il “breviario”. Il breviario contiene i Salmi di Davide e alcune antifone prese dalla Bibbia; per il resto il breviario contiene letture dei padri, dei dottori, dei papi della chiesa cattolica e così via, ma non è la Bibbia. Quando iniziai a leggere la Bibbia, fu una scoperta tutta nuova per me; non si trattava di quei brevi passaggi che avevo letto studiando teologia ma avevo tra le mani la Parola di Dio, potevo finalmente incominciare a leggere i Comandamenti del Signore, così come sono e non come mi era stato insegnato. Prima di allora sembrava che vivevo in un carcere oscuro, invece ora qualcuno stava aprendo le porte e le finestre di questo carcere e la luce incominciavano ad entrare in me.
Ma questo comunque non fu per me la liberazione, in quando prima io potevo confessare, dire la messa e altro, come un vero e proprio mestiere, invece adesso sentivo la coscienza risvegliarsi in me e tutto quello che facevo divenne un peso, sentivo sempre una “voce” che mi diceva “ipocrita”. Perché sapevo che quello che facevo era contrario alle Sacre Scritture, ma io continuavo a farle. Allora ritornai dal pastore battista, gli raccontai tutto e gli dissi: “Ma hai visto che hai fatto? Adesso sto peggio di prima!”. Lui, sorridendo, rispose: “Questa è la volontà di Dio che ti vuole fuori da dove sei e accetti Suo Figlio come Salvatore e Signore della tua vita”. In quei tempi non era facile lasciare la chiesa cattolica, io avevo studiato dodici anni nei seminari, avevo detto la messa per più di quattro anni e mi sentivo legato lì da mille catene che nessuna forza poteva spezzare, a costo di morire non mi sarei mosso.
Anche se sarei uscito che cosa avrei fatto? Non avevo un mestiere, non potevo fare niente per il governo perché c’era un concordato che vietava di dare lavoro agli ex preti, e quindi cosa avrei potuto fare? Ma c’era un altro problema: i miei parenti e i miei amici mi avrebbero voltato le spalle e lasciato solo come un verme perché un ex prete è soltanto una vergogna averlo vicino. “No, no” – dissi al pastore – “Questo è impossibile. Non farò mai un gesto come questo”. Il pastore mi disse che avrebbe pregato per me. La mia amicizia con il pastore si venne a sapere tra i miei superiori e ci fu un nuovo trasferimento; questa volta mi trasferirono in un piccolo paese della Calabria sulle montagne, un paese molto retrogrado, molto isolato e così pensarono di farmi togliermi dalla testa i protestanti.
Ma non sapevano che proprio dietro al convento c’era una chiesa evangelica pentecostale, così loro stessi furono che mi misero vicino agli evangelici. “Se metti la paglia vicino al fuoco questa arde da sola”. Io so che fu tutto un piano di Dio. Un giorno mentre camminavo vidi qualcuno che mi chiamava: era un contadino e mi disse: “Sai, sono stato a Reggio Calabria e ho visto il pastore battista e ti manda tanti saluti”. Il mio cervello incominciava a ragionare molto rapidamente e pensai: “Se i miei superiori sanno che anche qui ci sono gli amici del pastore battista chissà dove mi sbatteranno la prossima volta” e gli dissi: “No, non lo conosco, avrai preso uno per un altro”. Ma lui, insistendo, disse: “No, se proprio tu, il pastore mi ha detto il tuo nome e cognome” e poi si accorse della mia paura e mi disse: “Non avere paura, ho i capelli bianchi e so mantenere un segreto”. Vedendo la sua sincerità dissi: “Si, è vero lo conosco”, Il contadino proseguì dicendo: “Solo che il pastore è battista e io sono pentecostale.” Domandai :”Beh, è qual’è la differenza? Non siete tutti evangelici?”. Lui rispose: “Si certo ma c’è una differenza, ma non sono in grado di spiegartela perché sono nuovo in questa fede ma se vuoi ti faccio incontrare con il mio pastore e ti spiega tutto lui.” Un’altro pastore?” Oh no, no grazie” – gli risposi ma lui insistette e disse: “Facciamo così, tu vieni di notte a casa mia e io farò venire il pastore così nessuno ti vedrà; poi tu te ne ritornerai in convento e lui a casa sua.” “Va bene” – gli dissi – “Verrò a casa tua”.
Quando andai a casa sua c’era lui e un altro contadino e domandai: “Dov’è il pastore?” Lui rispose: “E’ questo il pastore!” Io lo guardai e pensai: “Questo è il pastore? Ma che razza di pastore è questo?” Era vestito molto umile, si vedeva che era un uomo che lavorava la terra e che non aveva una grande cultura. Lui mi guardò e mi disse: “Lo so cosa pensi e hai ragione; io infatti non ho studiato quasi niente, quando ero ragazzo ho fatto soltanto la seconda elementare e nemmeno sono riuscito a essere promosso. Neanche voglio fare una discussione teologica con te, non ne sarei capace. Però voglio dirti una cosa: Gesù vuole salvarti, Gesù è morto sulla croce per te e vuole perdonarti dei tuoi peccati. Sai che Gesù ha dato fino all’ultima goccia di sangue per te?” Io, mentre il pastore parlare, pensavo: “Ma costui parla di salvezza, di perdono. Io sapevo fino ad allora che prima dovevo morire, poi andare in purgatorio a scontare i miei peccati e poi ero salvato”. Ma lui parlava di una cosa di oggi, di una cosa imminente, di una cosa attuale, “Oggi puoi essere salvato”.
Era una cosa molto singolare per me perché fino a quel giorno sapevo che avrei dovuto fare penitenze, sacrifici, digiuni, privazioni, per rendermi degno ed entrare in paradiso. Ma quell’uomo mi raccontò di Nicodemo che andò a Gesù di notte e che il Signore gli disse che doveva nascere di nuovo. Mi disse: “Se tu credi, Gesù ti renderà una nuova creatura, adesso stesso in questo momento”. “Oh” – pensai – “Se fosse vero come ne sarei felice”. Continuò il pastore a dirmi: “Tu ci credi che Gesù è venuto sulla terra?” “Certo” risposi, “Ci credi che è morto sulla croce?” – “Ma sicuro!” risposi. “A che cosa è servita la Sua morte?” Insisteva il pastore. “Per la salvezza” risposi. “Tu c’è l’hai la salvezza?” – “No, non c’è l’ho ancora. Un domani, forse.” gli dissi. Lui replicò: “Ma la parola del Signore dice oggi è il tempo della grazia”. Poi mi disse: “Vuoi che prego per te?” Risposi di si e lui si inginocchiò, alzo le mani al cielo e pregò in una maniera a me sconosciuta, pregava per la mia anima.
Ma pregava con tale fervore come se nella vita non ci fosse nient’altro che la mia anima, come se fosse l’unica cosa al mondo che avesse importanza: la salvezza dell’anima mia. Ero meravigliato perché nessuno mai aveva pregato per me, ancora non compresi l’amore che Dio aveva per me. Mentre pregava io constatai che lui non pregava ad un Dio lontano, ma parlava ad un essere che era lì, presente in mezzo di noi. Mi resi conto che non eravamo in tre, ma in quattro. Fui compunto nel cuore, mi inginocchiai e incominciai a vedere tutti i miei peccati della mia vita passare davanti agli occhi. Chiesi perdono a Gesù dei miei peccati e alla fine accettai Gesù nella mia vita come Signore e Salvatore. Lasciai la chiesa cattolica, subendo tutte le conseguenze.
Mi sputarono addosso, mi buttavano pietre, mi arrestarono, mi misero in camera di sicurezza per qualche tempo, ma il Signore è stato con me sempre. Mi dette la pace, l’ allegrezza, la gioia, la felicità e la pace anche nei momenti di prova, nei momenti di persecuzione sentito viva la Sua presenza. Lasciai l’Italia e andai negli Stati Uniti, lavoravo in un ristorante dove lavavo i piatti per ore e ore al giorno, fino a spezzarmi la schiena. Un giorno venne un amico a trovarmi e mi disse: “Era meglio quand’eri prete, perché quando eri prete recitavi la messa mezz’ora la mattina e poi eri libero tutto il giorno e te la potevi spassare”. “Oh no” – gli dissi – “Io voglio lavare piatti per il resto della mia vita ma voglio Gesù nel mio cuore”.
Il Signore mi battezzò nello Spirito Santo. In America ho lavorato duramente. Il Signore mi fece incontrare una sorella che oggi è mia moglie. Sono ritornato all’università dove mi sono laureato e dove ho potuto insegnare nelle scuole americane. Contemporaneamente predico la Parola del Signore alla radio da molti anni e scrivo su di una rivista cristiana in lingua italiana da me diretta. Il Signore ha benedetto il mio Ministerio in molte maniere ma soprattutto non si è mai stancato di cercarmi e salvarmi. Forse è da molto che il Signore ti cerca, aspetta, non sfuggirGli, inginocchiati e chiediGli perdono e Lui ti darà quello che il tuo cuore desidera. A Lui sia la Gloria da ora e per sempre. Amen!