di Agostino Masdea – 1 Cor. 11:17-32 “fate questo in memoria di me”. – Il giorno prima della Sua morte sulla croce Gesù celebrò la pasqua ebraica insieme ai discepoli. Durante quella celebrazione istituì quella che noi chiamiamo la Santa Cena.
La pasqua ricordava agli Ebrei la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Gesù volle istituirla in quella circostanza affinché noi possiamo ricordare che come l’agnello pasquale era stato immolato in Egitto per la salvezza del popolo ebreo, così l’Agnello di Dio, Cristo, è stato immolato per la nostra salvezza, perché noi potessimo essere liberati dalla schiavitù del peccato.
La Cena del Signore, per il suo grande significato, non è e non deve mai diventare una sterile cerimonia religiosa, una formalità. Partecipare alla santa cena significa esprimere tutto il nostro amore per il Signore. È un modo per dire al Signore: “ti amiamo e ti siamo grati per ciò che hai fatto per noi”.
Tramite il pane ed il vino ricordiamo la morte di Gesù. Ricordiamo di conseguenza la croce, la corona di spine, le mani trafitte, il costato forato.
Dobbiamo quindi accostarci al pane e al calice con grande rispetto e riverenza. In sé stessi non sono elementi sacri, ma rappresentano qualcosa di molto sacro. Rappresentano il corpo di Gesù dato per noi sulla croce ed il Suo sangue versato.
La Santa cena deve essere un momento speciale, un momento in cui riconsacriamo al Signore la nostra vita. È il rinnovo di quel patto che ci lega al nostro Salvatore. Accostiamoci quindi con fede e con speranza. Ricordiamo che Gesù Cristo, tramite quella morte sulla croce è diventato il nostro Salvatore e per mezzo del Suo sangue ogni peccatore può essere riconciliato con Dio.