FRANCHEZZA

di Roberto Bracco  –  Nell’esercizio del ministero e del servizio, cristiano la “franchezza” rappresenta una caratteristica positiva, anzi un elemento indispensabile, ma dobbiamo saperla individuare per essere certi di non sostituirla con quei surrogati perniciosi che vengono abbondantemente offerti dalla natura umana.

“Franchezza” vuol dire esercizio della libertà e quando ci riferiamo alla “franchezza” espressa nella vita e nel servizio cristiano parliamo della completa liberazione dalla timidezza, dalla paura, dall’esitazione e dalla perplessità. Liberazione che deve apparire evidente in tutti i comportamenti del credente e quindi che deve avere una chiara manifestazione nelle riunioni di culto, nelle testimonianze verbali, nella vita di ogni giorno e di ogni luogo.

L’apostolo Paolo afferma che soltanto con l’uso costante della franchezza riusciamo ad esercitare fedelmente il ministero dello Spirito ed offrire così una chiara visione della gloria di Dio; con un parallelo esemplificativo egli conclude che mancanza di franchezza significherebbe “mettere un velo” sopra il ministero, oscurare cioè lo splendore della gloria.

L’argomento è di proporzioni vastissime, ma restringiamolo all’esame di due dettagli di notevole valore non solo culturale, ma anche, anzi soprattutto pratico:

– La franchezza del credente nelle riunioni di culto.

– La franchezza del ministro nel servizio cristiano.

Noi crediamo che la celebrazione del culto, da parte della comunità rappresenta, nello stesso tempo, comunione con Dio e comunione fraterna e se accettiamo che comunione vuol dire “mettere tutte le cose in comune” dobbiamo concludere che la “comune radunanza” è l’occasione per offrire a Dio e ricevere da Dio, ma anche per offrire al fratello e ricevere dal fratello.

I “timidi”, i “paurosi” pretendono l’esercizio della comunione a senso unico: ricevere, ma non dare. Non è soltanto questa assurda pretesa che li squalifica perché una diagnosi esatta della loro personalità e della loro posizione ci rivela l’esistenza di una serie di elementi negativi nel loro comportamento e possiamo ricordarne alcuni in breve:

– Essi soffocano e mortificano gli impulsi dello Spirito ostacolando l’apprendimento del servizio.
(1° Corinzi 14:31);

– Turbano il programma carismatico dello Spirito. (1° Corinzi 12:11 ; 14:26);

– E naturalmente finiscono per agevolare e concedere spazio a coloro che dovrebbero tacere.
(1° Corinzi 14:30).

Oltre alle cose ricordate si può quasi sempre aggiungere un altro elemento di squalifica; questo: “Il timido lo è, nel maggior numero dei casi, per timore di non essere sufficientemente “brillante”; non vuol fare una “mediocre figura”. Questa posizione generalmente è di autentico orgoglio; noi dobbiamo muoverci entro i limiti della nostra fede (Romani 12:6) e se la nostra fede ci permette soltanto di esprimere poche parole, ma infuocate dallo Spirito Santo, esprimiamole alla gloria di Dio e per l’edificazione dei fratelli senza pretendere od aspettarci un plauso od un encomio.

Quindi i credenti, tutti i credenti, devono desiderare e procacciare abbondanza di doni spirituali perché questi possano essere procacciati ed esercitati da tutti con “franchezza” cioè piena libertà spirituale. (1° Corinzi 12:12). Abbiamo proprio precisato “libertà spirituale”. La precisione è indispensabile perché come abbiamo ricordato sin dal principio, esistono surrogati che tentano, con frequenza ed insistenza, di sostituire la libertà cristiana. Ci riferiamo particolarmente a quella disinvoltura, a quel senso d’irresponsabilità e d’incoscienza che raramente affiorano nelle riunioni comunitarie; specialmente nella nostra generazione socialmente emancipata, abituata al dialogo, non mancano individui sempre pronti ad interloquire senza disagio. Questi possono con estrema facilità, sotto lo spirito di un’emozione personale o, peggio ancora, stimolati dal desiderio di emergere, far sentire la loro voce che è proprio la “loro voce” e soltanto la “loro voce”.

Non dobbiamo scoraggiare l’esercizio dei doni spirituali, anzi il ministero della chiesa deve essere assolto in maniera che includa la partecipazione di tutti e manifesti la gloria dello Spirito, ma questo non vuol dire che possa essere lasciato spazio a quelle libertà che debbono essere purtroppo definite: sollecitudine, presunzione, insensibilità.

Alla franchezza del credente, di ogni credente, nelle riunioni di culto si deve addizionare quella del ministro nel più vasto servizio cristiano che non esclude, ovviamente, le riunioni di culto, ma che oltrepassa anche i confini di queste. Nelle riunioni di culto il ministro che presiede, che predica, deve possedere ed esercitare tutta la libertà necessaria per “presiedere con diligenza” per “riprendere coloro che peccano” per “proporre tutto il consiglio di Dio”.

Non sono affatto rari i casi di riunioni di culto prive di ogni disciplina, proprio perché colui che presiede non ha forza o coraggio di esortare e controllare i disordini ed i “disordinati”. Franchezza in questo caso non vuol dire autoritarismo dispotico, ma amore espresso con sapienza e con forza.

Un male anche più grave è rappresentato dalla predicazione della Parola di Dio in forma che possiamo chiamare addomesticata cioè quella predicazione che non vuole offendere, non vuole colpire coloro che notoriamente mantengono posizioni inconciliabili con una sana vita cristiana. Si dice che qualche volta la franchezza del ministro è mortificata dalle sue considerazioni personali: egli è legato o condizionato dalle sue relazioni amichevoli o da altre ragioni che impediscono una parola libera e se è necessario severa.

Il ministero, come già detto, valica i confini delle riunioni di culto e richiede “franchezza” per affrontare tutte le esigenze derivanti dalle circostanze che deve affrontare:

– Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio di Gerusalemme, manifestarono “franchezza” per testimoniare di Cristo e per respingere coraggiosamente le ingiunzioni e le minacce dei capi del popolo. Erano veramente liberi da ogni limitazione, da ogni spavento.

– I discepoli, informati dai due delle intenzioni del Sinedrio, alzarono la voce della loro preghiera a Dio per essere nuovamente “riempiti” di Spirito Santo ed ottenere tutta la franchezza necessaria per predicare senza timore il messaggio della Buona Novella. (Atti 4:24).

– Paolo a Roma, dando informazione ai fratelli lontani del suo stato e del suo ministero, li rassicura scrivendo che continua a predicare Cristo con ogni “franchezza”; infatti egli è in prigione, ma la Parola di Dio ed anche il suo ministero non sono in catena.

Queste ricordate sono soltanto alcune delle testimonianze che ci aiutano a comprendere che cos’è “franchezza”; perché, e quando è necessaria. Dobbiamo interpretare con esattezza la storia per non incorrere nel pericolo di errate valutazioni; se gli episodi ricordati ci prospettano l’esercizio della franchezza di fronte alla persecuzione, non dobbiamo concludere che soltanto in circostanze analoghe a quelle vissute dalla chiesa primitiva la franchezza diventa una necessità; ecco l’interpretazione:

Gli episodi ci parlano di persecuzione, è vero, ma la persecuzione è soltanto uno degli aspetti della lotta cristiana e quindi qualsiasi opposizione al ministero rappresenta un aspetto della stessa lotta. Oggi ci troviamo impegnati in un combattimento che ci mette a confronto con un materialismo inasprito fino alla violenza, non soltanto verbale, con una cultura puntigliosa e contestataria, con l’indifferenza religiosa provocata dai cento interessi che assorbono l’individuo e le masse.

Si, ci troviamo proprio impegnati in una lotta e contro una potenza che cercano di scoraggiarci, ridurci in soggezione; abbiamo bisogno di franchezza, dobbiamo affrontare la derisione, gli scherni; dobbiamo subire le più diverse forme di violenza eppure essere e rimanere fedeli nel proclamare un messaggio che oggi più che mai “è scandalo ai giudei e pazzia ai greci”.

Purtroppo i paurosi ed i timidi non mancano e non sono pochi coloro che ieri predicavano l’Evangelo e che oggi preferiscono fare discorsi di politica o di sociologia nella certezza che con questi possono essere considerati a pieno diritto membri del consesso umano dal quale i testimoni di Cristo vengono invece frequentemente radiati. Costoro, tradiscono, il ministero e disonorano la causa di Cristo, sono dei vinti, hanno, perduto la loro franchezza, la loro libertà.

Abbiamo bisogno di un risveglio che restituisca al popolo di Dio, assieme all’esuberanza dello Spirito, ai doni celesti, la “franchezza” cristiana e poiché questa può venire soltanto dalla potenza divina, abbiamo bisogno di riconoscere le nostre carenze e di stringerci assieme davanti al Trono di Dio per chiedere che la Pentecoste torni ad essere non una ricorrenza liturgica, ma un’esperienza della chiesa, di tutta la chiesa (Atti 4:29).