Kenji Goto dal 1997 apparteneva alla United Church of Christ of Japan, una chiesa evangelica della piccolissima comunità cristiana giapponese. Diceva: «Ho visto cose orribili ma Dio mi salverà»
Era cristiano Kenji Goto, il giornalista giapponese decapitato dall’Isis. E proprio la volontà di dare voce agli ultimi era la principale motivazione del suo lavoro anche in Siria. Nel nuovo dramma della follia islamista rimbalzato attraverso immagini che paiono purtroppo attendibili c’è anche un aspetto che chiama in causa la fede religiosa oltre che la politica. Kenji Goto apparteneva alla piccolissima comunità cristiana del Giappone, meno dell’1 per cento della popolazione del Paese.
Quarantasette anni, originario di Sendai, Goto si era convertito al cristianesimo nel 1997, quando già da alcuni anni ormai lavorava come giornalista. Era entrato a far parte della United Church of Christ of Japan, la maggiore confessione evangelica giapponese, che conta circa 200 mila fedeli: frequentava la comunità di Den-en-chōfu, un sobborgo di Tokyo.
Proprio la sua fede cristiana, unita a una grande sensibilità sul tema della pace – diffusissima tra i cristiani giapponesi – aveva orientato la sua attività professionale. Aveva creato una sua società di produzione indipendente che concentrava la sua attenzione in maniera particolare sui bambini vittime della guerra. Nei suoi reportage si era occupato dei bambini soldato in Sierra Leone, del conflitto in Ruanda, della condizione delle bambine in Afghanistan. Era partito per la Siria nell’ottobre scorso con l’intenzione di mediare la liberazione dell’altro ostaggio giapponese dell’Isis Haruna Yukawa, decapitato nei giorni scorsi.
«Prima di partire per la Siria – ha raccontato all’agenzia evangelica Christianity Today Atsuyoshi Fujiwara, un pastore di Tokyo – Kenji aveva lasciato un video messaggio nel quale si diceva consapevole del fatto che il suo tentativo era molto rischioso e si assumeva la piena responsabilità delle sue azioni». A unna rivista giapponese aveva dichiarato: «Ho visto cose e posti orribili e ho anche rischiato la vita, ma so che comunque in qualche modo Dio mi salverà».
La missione del giornalista in Siria ha sollevato perplessità in Giappone, al punto che già quando l’Isis mostrò le immagini di Goto e Yukawa entrambi prigionieri i genitori di entrambi si scusarono pubblicamente in tv per il disagio creato al Giappone. La reazione iniziale in Giappone – riferisce sempre Christianity Today citando altre sue fonti cristiane locali – era stata che i due si fossero cacciati nei guai andando dove non dovevano andare. «Ma una volta saputo che Goto è un cristiano e che la sua motivazione è sempre stata quella di dare voce ai bambini vittime della guerra – racconta l’agenzia – questo gli ha permesso di guadagnare almeno un po’ di favore. Hanno capito che non era un avventuriero».