di Roberto Bracco – Quando c’è l’opportunità di visitare il popolo di Dio sparso nel mondo, quando cioè si presenta l’occasione di venire a contatto con i credenti delle chiese che s’incontrano ovunque, si rinnova immancabilmente il modo di udire fiumi di lamentele nei confronti dei conduttori delle comunità.
Non tutti i cristiani hanno motivo di lamentarsi del proprio pastore e neanche tutti desiderano fare della maldicenza il loro esercizio preferito, ma gli eterni scontenti non mancano e si trovano ovunque.
Forse un modo efficace per difendersi dall’insidia sottile di questi amari parlatori è di non ascoltarli; ma forse un modo più efficace ed anche più salutare per essi è di ascoltarli per poi rivolgere loro la semplice domanda: Ma tu che hai fatto per lui?
Immaginatevi di trovarvi alla presenza di uno di questi maldicenti; probabilmente vi ha invitati alla sua casa e alla sua mensa e, dopo avervi onorati e dopo aver elogiato il vostro ministero, il vostro amore, la vostra santità, incomincerà a parlare delle “sue afflizioni”. Il suo pastore non possiede “un messaggio” e quando predica non riesce ad interessare nessuno perché le sue parole sono povere, i suoi argomenti deboli, la sua conoscenza superficiale. . .
Ascoltatelo, ascoltatelo attentamente e, quando egli avrà raggiunta, la conclusione, domandategli semplicemente: Ma tu che ha fatto per lui? È inutile fargli notare che ogni ministero ha una sua caratteristica e che il messaggio di un pastore non può essere uguale al messaggio di un altro pastore; è inutile fargli notare che se Dio ha fatto prosperare una chiesa per il messaggio del suo servo vuol dire che anche in quel messaggio c’è alimento spirituale. È inutile far notare questa ed altre dieci cose; sarebbero soltanto argomenti di discussioni e forse di nuove maldicenze; è meglio chiedere soltanto: Ma tu che hai fatto per lui?
Questa domanda ne contiene molteplici in sé stessa, perché indirettamente chiede: Hai pregato per lui? Hai chiesto a Dio che rivestisse di maggior potenza il suo ministero? Ti sei adoperato per offrire al tuo pastore la possibilità di applicarsi di più e meglio alla preghiera ed alla parola?
Forse l’acre scontento avrà da dire che il suo pastore è pigro nell’esercizio del ministero; non è assiduo nel fare visite; non è solerte nel rendere interessanti e vari i programmi di chiesa; non è attivo nell’organizzare e promuovere le attività della comunità.
Non vi consiglio di polemizzare con lui; potreste facilmente fargli notare che “quel che non si fa è visibile a tutti, mentre quel che si fa passa inosservato a molti”; potreste cioè fargli notare che egli si è accorto di quello che il pastore non ha fatto e non fa, ma non ha posta attenzione a quello che il pastore ha fatto; forse egli ha svolto un lavoro che ha preso tutte le sue energie ed il suo tempo e non ha potuto fare di più, proprio perché non aveva più tempo e più forza. . . Ma non vi consiglio di dire tutto questo; ditegli semplicemente: Ma tu che hai fatto per lui? Egli comprenderà che voi gli domandate quando e come ha aiutato il suo pastore; con questa domanda voi chiedete se veramente egli è stato un incoraggiamento, un’ispirazione al suo pastore.
Probabilmente il credente che ha imbandita una tavola per voi avrà sol-tanto da dirvi che il suo pastore è privo dell’amore necessario ad un ministro di Dio; v’informerà che riprende con troppa severità, che è esageratamente esigente, che non sa comprendere e scusare i giovani, che è privo di qualsiasi sentimento di tolleranza verso gli erranti.
Lasciatelo parlare e permettetegli di esaurire totalmente l’elenco dei difetti del suo pastore; poi chiedetegli semplicemente: Ma tu che hai fatto per lui?
Sarebbe più interessante discutere intorno al carattere dell’amore per chiarire che quello che noi chiamiamo amore qualche volta è semplicemente un’espansività naturale o addirittura una formalità sociale, mentre il vero amore, anche senza ninnoli e fronzoli, cerca il bene di coloro verso i quali è rivolto. Sarebbe anche bello illustrare gli aspetti dell’amore cristiano che è dolce, profondo, eroico eppure qualche volta duro, deciso, severo per combattere il male . . . Sarebbe bello, ma forse è più efficace chiedere soltanto: Ma tu che ha fatto per lui?
Tu che hai invitato noi forestieri che soltanto occasionalmente siamo venuti a darti una briciola del nostro ministerio; tu che sei stato pronto ad onorarci, elogiarci, incoraggiarci; tu, proprio tu, quante volte hai invitato ed onorato il tuo pastore? Quante volte hai riscaldato il suo cuore con il tuo amore? Quante volte hai suscitata la sua comprensione con la tua comprensione? Tu che hai fatto per lui? Questa è una domanda che può essere posta dopo ogni sequela di lamentele; è la risposta risolutiva ad ogni giudizio e ad ogni maldicenza.
Giudicare e condannare è sempre facile, ed è facile a tutti, ma è particolarmente facile quando giudizio o condanna devono essere rovesciati sopra il capo di un pastore; egli può aver dato gli anni più belli, le energie più preziose, la dedizione più profonda per l’opera del ministero, ma non avrà mai potuto soddisfare tutti.
Il bene non si vede o si dimentica facilmente, le virtù si nascondono agli occhi di molti…, ma i difetti, le lacune, le inadempienze, anche se sono il risultato fatale di un’imperfezione non ancora colmata o di circostanze indipendenti dalla volontà, sono facilmente individuate e … ingigantite.
No, non è difficile giudicare e condannare, ma a tutti coloro che sono pronti a disprezzare il “dono ricevuto da Dio”, a colpire “l’unto di Dio” chiedete semplicemente e severamente: Ma tu che hai fatto per lui?