di Roberto Bracco – Torno con la mia mente al Golgota, a quell’immenso cranio di pietra grigia con le sue occhiaie austere e rivivo l’emozione profonda provata davanti a quel monte, fuori di Gerusalemme e separato da questa da una strada brulicante oggi, come forse ieri, di gente frettolosa.
Mi sembra che davanti all’immagine anche fisica di quel monte fatale ho potuto rivivere più intensamente il dramma del Golgota; ho potuto contemplare da vicino l’amore del Padre che ha dato il Suo figliuolo, del Cristo che si è immolato per noi come Agnello. La croce ed il Crocifisso in una luce radiosa hanno riempito l’animo di una nuova visione di amore e di gloria. Quale rivelazione meravigliosa, quale lezione preziosa per imparare fede, amore, umiltà; al Golgota, proprio al Golgota il cuore si schiude per ricevere la ricchezza delle benedizioni divine.
Non voglio, non posso attribuire all’elemento geologico o geografico il ruolo determinante di ispiratore, ma non posso neanche escludere che questa testimonianza che Dio ha voluto conservata nel corso dei secoli esprima un messaggio che s’indirizza al cuore per illuminarlo. E’ il messaggio che assomiglia a quello delle parabole, a quello dei riti e che attraverso elementi anche materiali esprime realtà spirituali che più facilmente possiamo comprendere e conquistare partecipando con tutta la nostra personalità.
Israele quindi continua ad essere oltre che un testo di geografia o di folklore una terra ricca di riferimenti biblici che invitano alla riflessione, alla meditazione e perchè no, alla contemplazione. Quel che ho provato al Golgota rappresenta un’esperienza che posso assomigliare, sia pure nella diversità delle sensazioni, a quel che ho provato al Getsemani, al Lago di Tiberiade, a Capernaum, a Nazaret a Betlehem, al Tabor, al Monte delle beatitudini.
Quante volte queste località, ma particolarmente il messaggio espresso da queste località si sbiadiscono nel cuore del credente, si allontanano per essere appena intraviste sotto la patina dell’immaginazione non sempre attenta, non sempre viva.
E’ facile elevare inni che suonano l’invito a salire al Golgota, ma quanti credenti giungono veramente alla croce di Cristo? Quanti salgono su quel Monte dove la terra ha tremato, dove il sole si è oscurato, dove sono state pronunciate le fatidiche parole: “Tutto è compiuto!”
Ritrovare l’ispirazione soltanto sui luoghi ove la storia è stata scritta forse non rappresenta un elemento positivo, ma perché ignorare o nascondere che il formalismo che tanto facilmente entra nella liturgia in questi giorni trova ampio spazio anche nei movimenti evangelici più caldi? Quindi se Cesarea, Cana, se il Monte degli Ulivi o Hebron possono esprimere un messaggio di risveglio o soltanto di riflessione accettiamo come salutare questo messaggio.
Ma sopra ogni altra considerazione ritorna quella espressa in relazione al Golgota; dobbiamo tutti accostarci alla croce, dobbiamo tutti contemplare il Crocifisso, salire lassù dove Colui che era stato preordinato prima della fondazione del mondo è morto per tutti, per ognuno di noi;dobbiamo fare di quella visione l’elemento ispiratore della nostra relazione con Dio, della nostra vita cristiana. No, non vuole essere un invito a visitare Israele benché questa visita sia stata per me una benedizione, vuole essere soltanto un’esortazione calda, pressante a tornare a quell’esperienza cristiana che libera da ogni formalismo ci faccia vivere in comunione con Dio nella realizzazione dell’amore che in Cristo Gesù nostro Redentore: Amen.