CULTI FREQUENTI E VIVI

–   di Roberto Bracco.   –    È triste la vita di quei fedeli i quali, a causa di circostanze particolari, sono costretti a vivere soli, lontani da altri fedeli, privi del conforto che si riceve nella comunione fraterna e nella celebrazione dei culti.

Molto più triste, però, è la vita di quei fedeli che pure non essendo soli, vivono come se lo fossero. Mi riferisco qui a coloro che trascurano la “comune adunanza”. Ma ancora più triste di queste due condizioni è quella di quei fedeli che non sono soli, ma vivono come se lo stare uniti fosse un male e non un bene. Questa è la condizione di tutti quei gruppi che non si curano di celebrare assiduamente dei culti al Signore e di stare raccolti insieme per godere la comunione fraterna.

La loro vita cristiana non è traboccante di allegrezza, perché manca in loro quello che può produrre l’allegrezza. Sono tristi!

Sarebbe facile per loro superare tale condizione, ma non lo fanno. La loro vita cristiana è diventata un vuoto formalismo; celebrano il culto ogni sette o ogni 15 giorni, ed anche quello è pieno di tristezza; vi partecipano infatti perché così esige il dovere, e non perché vogliono rallegrarsi in esso. Quali sono i motivi che possono aver indotto dei cristiani a giungere a tale condizione? Quali sono i motivi che possono aver fatto pensare a dei cristiani che il riunirsi per celebrare il Signore possa essere un male anziché un bene? Molti. I più frequenti sono quelli connessi con le occupazioni e le preoccupazioni della vita. Particolarmente le località di provincia e in quei luoghi ove il lavoro agricolo tiene, nella quasi totalità, vincolate le fratellanze, le preoccupazioni che fanno sentire il loro peso nelle decisioni sono le seguenti:

Questo articolo-esortazione del pastore R. Bracco è stato tratto dal periodico Risveglio Pentecostale del 1947. Nel leggerlo tenere presente il contesto  sociale di quel tempo, quando le comunità pentecostali erano per lo più formate da contadini e da operai. Tuttavia lo ripubblichiamo perchè sebbene oggi il contesto sia alquanto diverso, i concetti dell’articoli rimangono attuali e quindi pensiamo ancora utili per molti credenti.

–  la lontananza dal luogo di riunione delle abitazioni dei fedeli;
– la necessità di essere sempre liberi e indipendenti per poter attendere a lavori
straordinari che immancabilmente si presentano;
– la necessità di utilizzare tutte le ore libere per il riposo.

Queste, e molte altre preoccupazioni, inducono i fedeli alla persuasione che è impossibile, quasi dannoso, organizzare riunioni nei giorni feriali. Questa persuasione, naturalmente, distoglie lo sguardo dal cielo e lo fa posare sulla terra. Ecco perché i giorni passano e i fedeli, invece di progredire nelle vie dello Spirito, si incrostano in quelle della carne, ma, soprattutto, ecco perché ogni giorno diventano più tristi.

Il Signore fornisce allegrezza “a quelli che sono diritti di cuore” e come troviamo scritto nella Bibbia, particolarmente per la comunione fraterna, l’allegrezza riceve alimento dallo Spirito.

Quelli che trascurano la dolcezza delle riunioni cristiane, e in conseguenza deviano dal diritto sentiero del volere divino, non possono essere che tristi. Ogni cristiano, qualunque sia la sua occupazione, dovrebbe tenere al centro della sua vita le cose spirituali per sottoporre tutte le altre all’interesse del fine supremo. Egli non si dovrebbe mai rendere schiavo delle cose che si presentano come necessarie. Egli dovrebbe sempre ricordare le parole di Gesù: “Cercate prima il regno dei cieli...”.

Le riunioni dovrebbero essere frequenti in campagna come in città. Dovrebbero attirare l’interesse dei fedeli della campagna, come quelli della città. Non è sufficiente una riunione settimanale, perciò le lontananze devono essere superate e i lavori compiuti senza esagerata applicazione. Bisogna lavorare quanto è sufficiente per poter riservare il tempo necessario alle riunioni di culto, tenute con regolarità e frequenza. Bisogna anche riservarsi un tempo che offra la possibilità di partecipare alle riunioni con la mente serena e con l’animo forte. Si vedono troppi sonnacchiosi in quelle riunioni di campagna, tenute in ore nelle quali i fedeli non resistono più al sonno. Quelle non sono riunioni di culto: sono riunioni nelle quali si offre poco o nulla e si riceve poco o nulla dalla Sua mano.

Perché essere tristi? Non sarebbe meglio essere desti ed allegri anche se si dovesse assegnare un posto meno importante alle occupazioni materiali? Così facendo si produrrà di meno, ma non importa; la benedizione del Signore è quella che arricchisce. Dove le famiglie fedeli sono numerose, possono essere disposti saggiamente dei turni e, mentre alcuni dei membri accudiscono ai lavori, altri partecipano alla riunione. Possono essere prese cento misure, cento provvedimenti, tutti guidati da Dio, ma il risultato deve essere sempre uno: RIUNIONI FREQUENTI E VIVE.

Perché essere tristi? Perché essere più tristi di quei poveri fratelli che vorrebbero avere le riunioni  e non le hanno, o di quei fratelli vacillanti, che non sono assidui, anzi trascurano le riunioni? Perché?
Fratelli che non realizzate per intero l’allegrezza della comunione fraterna: anche a danno dei vostri interessi materiali, organizzate e sviluppate i programmi delle riunioni nelle vostre chiese. Ricordate: CULTI FREQUENTI E VIVI.