INTRODUZIONE
La Carismatica è quella materia di studio che tratta il “carisma”, cioè il “dono” o la “grazia” soprannaturale conferita da Dio all’individuo per la Chiesa.
Non include lo studio della “grazia” intesa come dono della salvezza che, oltre tutto, ha un carattere eterno che si differenzia da quello transitorio del carisma, ma include invece lo studio di ogni manifestazione di servizio cristiano che presenta il segno della soprannaturalità.
1) SUDDIVISIONE SCHEMATICA DELLA CARISMATICA
Nota: La Carismatica abbraccia tutto il ministero cristiano che in tutte indistintamente le sue particolari caratteristiche o estrinsecazioni deve apparire come gli affetti della vita soprannaturale dello Spirito in contrapposizione, o qualche volta in valorizzazione, della qualificazione tecnica (1° Corinzi 2:4; 2° Corinzi 3:8).
a) Lo studio dei ministeri fondamentali (detti anche gerarchici) (Ebrei 13:17; Efesi 4:11)
Nota: La “gerarchia” è determinata dal ministero e quindi è espressione teocratica e non democratica.
b) Lo studio dei doni e delle operazioni (prive di carattere gerarchico) (1° Corinzi 12:8-10)
Nota: Il testo di 1° Corinzi 12:4-6 parla di “Karisma” e “Energemeta”, cioè “doni” ed “operazioni o manifestazioni di potenza”; sembra quindi riferirsi a tutte quelle manifestazioni spirituali che si differenziano dal ministero, non soltanto perché privi di carattere gerarchico, ma anche di natura sussistente (perché transitori anche nel tempo).
c) Lo studio delle attività dette amministrative o assistenziali (Romani 12:8; Atti 6:3)
Nota: particolarmente quest’ultima voce fa emergere la verità che tutto nella chiesa, anche quanto potesse essere compiuto dall’abilità naturale, ha un carattere soprannaturale.
2) SUDDIVISIONE BIBLICA DELLA MATERIA
a) Cataloghi carismatici:
1) Con 9 manifestazioni (1° Corinzi 12:8-10);
2) Con 8 manifestazioni (1° Corinzi 12:28);
3) Con 7 manifestazioni (Romani 12:6-8);
4) Con 5 manifestazioni (Efesi 4:11).
b) Voci risultanti dai cataloghi carismatici
Apostolo, Pastore, Dottore, Evangelista, Profeta, Dono di profezia, di esortazione, di liberalità o assistenza, di opere di pietà, di governo, di presidenza (che può includere le definizioni: conduttore, vescovo, anziano), parola di sapienza, di scienza, fede, doni di guarigioni, potenti operazioni, discernimento spirituale, lingue, interpretazioni
3) I MINISTERI FONDAMENTALI
Nota: Tutti, o quasi, sono concordi nell’ accettare come fondamento della vita carismatica i ministeri fondamentali che per riconoscimento quasi unanime sono costituiti da quelli presentati in Efesi 4:11.
A. – APOSTOLO (dal greco classico “spedizione navale” divenne poi, nella
terminologia religiosa, “inviato”).
Può essere definito ministero di priorità perché generalmente è il primo nella cronologia del servizio ed il più importante nella sua fisionomia gerarchica.
HA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
1) “Possesso di un compito e autorità per adempierlo” e perciò un inviato plenipotenziario;
2) “Accentramento di qualificazioni diverse per poter essere fondatore e conduttore” (da questo concetto è nata la definizione “Apostolo dell’India”). (Filippesi 2:25; 1° Corinzi 9:2; 2° Corinzi 12:2);
3) “Idoneità, quindi, per recare il messaggio, stabilire la dottrina, curare l’organizzazione e l’amministrazione dell’opera fino all’autonomia delle chiese” (Atti 2:42; 6:3).
PARTICOLARITÀ DI STUDIO:
1) Inizialmente fu attribuito soltanto ai dodici e il “collegio apostolico” era infatti costituito da questi che divennero per antonomasia “testimoni oculari ed auricolari di Cristo” facendo concludere ad alcuni che l’apostolo è il testimone (Atti 1:21,22; Luca 6:13; Atti 8:1; 15:2).
2) Successivamente, con lo sviluppo del cristianesimo, fu chiaramente ravvisata la continuità di questo ministero facilmente individuabile nell’ opera dell’apostolato (1° Corinzi 9:2; Romani 16:7; 2° Corinzi 8:23).
3) Quanto sopra potrebbe dar ragione a quella corrente cristiana che interpreta Efesi 2:20 come definizione di una circostanza “non confinata nel tempo” e che quindi non fa del solo “collegio apostolico” il fondamento della chiesa, ma vede il rinnovarsi dei fenomeni spirituali quasi sotto il profilo di “ricorsi storici”.
4) Gli oppositori di questa tesi fanno rilevare che il libro degli Atti, primo libro storico della chiesa, non contiene altri nomi di Apostoli oltre gli undici e Mattia (ai quali però sono aggiunti Paolo e Barnaba), ma non ci sembra che quest’argomento sia valido a difendere le conclusioni.
5) Non ci sembra che siano valide neanche le osservazioni e le conclusioni di coloro che danno grande risalto al parallelismo esistente tra l’apostolato di Paolo e quello degli undici per rigettare l’elezione di Mattia.
B. – PROFETA Nell’ebraico questo ministerio è definito con vari nomi che possono essere resi nella nostra lingua in “Colui che ha ricevuto una missione da Dio”, oppure “il chiamato dal suo Dio” (Giona 1:2; Isaia 6:8).
Nel greco questo nome implica il concetto di “colui che parla al posto o nel nome di Dio”.
È colui che parla in forma estemporanea e frequentemente estatica per diretta ispirazione divina.
HA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
1) Una personalità ieratica, capace di dare al messaggio il suo carattere di austerità (Matteo 3:5-7; 11:9);
2) Chiamato da Dio, consapevole della chiamata e manifestando la chiamata (Amos 7:14);
3) La “punta d’assalto” nell’opera del ministerio, nel compito di porgere un messaggio ardito, coraggioso, vibrante e privo di qualsiasi calcolo o considerazione (Geremia 20:8).
PARTICOLARITÀ DI STUDIO:
1) Il profetismo nacque libero ed infatti anche antichi patriarchi furono considerati profeti (Giuda 14);
2) Successivamente vennero organizzati ecclesiasticamente (2° Re 2:3-5) e furono chiamati “veggenti” (1° Samuele 9:9) termine che aveva un corrispettivo nella lingua classica e che poteva essere tradotto “contemplante”.
3) “Veggente” non esprime il concetto di uno che vede il futuro (come alcuni hanno detto), ma piuttosto di uno che vede fuori del tempo (Numeri 24:24);
4) Il messaggio profetico, che può essere anche “edificazione, esortazione e consolazione”, senza predizione è sempre l’evidente messaggio intellegibile dello Spirito dato in forma evidentemente carismatica. (1° Corinzi 14:3; Atti 13:1,2);
5) La profezia presenta nelle sue estrinsecazioni caratteristiche costanti, ma nel ministero cristiano si suddivide, secondo alcuni, in:
– Ministero del profeta sussistente e partecipato dal ministero (Atti 15:32);
– Dono di profezia transitorio, ma partecipato dal soggetto (1° Corinzi 12:9);
– Spirito di profezia, eccezionale atto della sovranità di Dio non partecipato totalmente dal soggetto (1° Samuele 19:24; Giovanni 11:51).
C. – EVANGELISTA “Colui che annuncia la lieta novella”. (Per il suo significato questo nome è stato attribuito anche agli scrittori degli evangeli).
L’annunciatore della buona o delle buone novelle nel senso generico e spesso anche nel senso specifico di annunciatore di redenzione, è stato il ministerio di ogni epoca (Isaia 40:3; 57:7).
Col Nuovo Testamento, però, l’evangelista diviene il ministro di un particolare evangelo (Romani 1:1,9) che ha, naturalmente al centro la salute messianica (1° Corinzi 1:17; Galati 1:7,8).
HA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
1) Una spiccata personalità missionaria (Atti 8:5);
2) Un’esuberante vitalità spirituale revivalista, conquistatrice e polemica (Atti 6:8,9);
3) Un senso di profondo adattamento ai luoghi e alle necessità itineranti (2° Corinzi 11:26);
4) Una sottomissione assoluta alla guida divina (Atti 8:16).
PARTICOLARITÀ DI STUDIO:
1) Può essere prima dell’apostolo senza essere apostolo e in alcuni casi può seguire l’opera dell’apostolo in qualità di predicatore preambulante;
2) Comunque non siamo d’accordo con coloro che affermano in modo assoluto essere il ministero dell’evangelista di carattere missionario (questi dividono i ministeri in due gruppi attribuendo a quello di carattere missionario i ministeri di apostoli, profeti, evangelisti);
3) Se è vero che il primo compito dell’evangelista è quello di dare l’annunzio messianico (Atti 2:18; 8:5), è anche vero che egli è colui che può sempre (e quindi anche alle chiese) recare una “buona novella” nell’espletamento di un ministero di incoraggiamento, di risveglio e di sprone verso una più profonda vita spirituale (Romani 1:11.15; 15:29; 2° Timoteo 4:5);
4) Quest’ultimo concetto è largamente prevalso nelle chiese di oggi fino a quasi sbiadire la prima fondamentale caratteristica dell’evangelista.
D. – PASTORE: (dirigere una moltitudine o pasturare. 1° Pietro 5:2)
E’ divenuto l’espressione classica del conduttore del gregge, di colui cioè, che non soltanto ha la responsabilità, ma anche la totale direzione e guida delle pecore, animale sforniti di senso d’orientamento.
Anche in questa simbologia o in questa nomenclatura la Bibbia è fortemente espressiva; essa mette in evidenzia l’equilibrio della legge divina che prevede sempre una funzione “direttiva” nell’opera del ministerio, ed una posizione subordinata nella posizione del gregge.
Il “pastore” come l’evangelista è il ministerio di sempre: in Israele la perfezione di questo ministerio si identificava con la funzione direttiva esercitata da Dio: Salmo 23; Salmo 80:1. Ma si riconosceva questa qualificazione a coloro che avevano ricevuto un mandato da Dio per essere guida del gregge: Isaia 44:28 – Salmo 78:72.
Anche oggi Cristo è idealmente il Sommo Pastore. (1 Pietro 5:4)
E quanto Egli riferisce al Suo ministerio rappresenta la più eloquente sintesi di etica e pratica pastorale. (Giovanni 10:17)
HA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE.
1) Capacità a presiedere, quindi a dirigere e controllare. (Romani 12:8)
2) Attitudini di governo, quindi capacità amministrative. (1 Corinzi 12:28)
3) Idoneità all’insegnamento, soprattutto pratico, cioè esortativo e di ammaestramento morale. (1 Timoteo 5:17)
4) Senso di responsabilità inerente al bisogno degli individui e della comunità. (Ebrei 13:17)
PARTICOLARITA’ DI STUDIO
1) Quasi all’unanimità la critica esegetica individua il pastore con l’Angelo della Chiesa. (Apocalisse 2.1)
In relazione a quanto sopra consegue:
A – Che la comunità rispecchia la personalità del pastore e viceversa.
B – Che il pastore è il vero diretto responsabile della comunità davanti a Dio.
2) Il pastore può essere sfornito di qualificazioni profetiche, apostoliche, evangelistiche o docenti, eppure possedere per intero le capacità di guida e di governo richieste dal Suo ministerio.
3) La storia cristiana è ricchissima di esempi di “pastori” non teologi.
E. – DOTTORE (dal greco: colui che insegna)
In alcune versioni, il greco didàscalos è tradotto “insegnante” e questo termine anticamente era “soltanto” l’equivalente del nostro moderno “teologo” (Rom. 12:7) ; successivamente entrò nella lingua classica in riferimento a tutte le discipline di studio.
Anche il termine ebraico corrispondente aveva lo stesso significato e in Israele il “dottore” o “dottore della legge” era essenzialmente l’insegnante e l’interprete dei precetti sacri e della rivelazione (Luca 2:46).
Cristo si dichiara il supremo dottore della chiesa e dei credenti (Mat.23.8) e con questa dichiarazione avoca a Se, in ultima istanza, tutte le controversie dottrinali.
HA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
1) Capacità intuitive relativamente alla comprensione della dottrina. (2°Timoteo 3:10);
2) Capacità didattiche nell’esporre la dottrina (2° Timoteo 2:2; Romani 12:7);
3) Capacità polemiche per ostacolare le false dottrine (Tito 1:9; 2:1).
PARTICOLARITÀ DI STUDIO:
1) Nella chiesa apostolica e nei primi secoli del cristianesimo, il “dottore” (Atti 13:1) è stato individuato in un ministero ben definito, indipendente da altri ministeri. I “dottori” della chiesa sono stati, infatti, considerati quei teologi o apologeti che hanno definito e difeso le verità della dottrina cristiana.
2) Dal IV secolo, soprattutto con Agostino, forse influenzato dalla propria esperienza, è nata e si è sviluppata una corrente che afferma essere questo ministerio congiunto con quello del pastore.
3) L’esperienza storica, anche attuale sembra però smentire decisamente quest’affermazione attraverso la figura di moltitudini di “pastori” non teologi e di “teologi” non pastori.
4) I due termini esprimono “capacità di condurre” e “capacità d’istruire intorno alla dottrina”.
5) Con definizione quasi scherzosa i secondi sono stati definiti, con una esemplificazione, come coloro che preparano le vivande ed i primi come coloro che le servono.
6) Alcuni vedono nel dottore un continuatore del ministero apostolico e ravvisano fra i due anche un parallelo legale. (Gal. 6:6 ; 1°Cor. 9: 4-6) Nota: Il passo ai Galati include già da sé stesso il ministero apostolico, didattico, pastorale.
7) Comunque, rimanendo rigorosamente fermi alle definizioni linguistiche, il dottore è colui che esercita in una sfera ministeriale le doti di “conoscenza” e “sapienza” attraverso particolari attitudini d’insegnamento, mentre il pastore è colui che ha capacità di guida e di governo.
MINISTERI DEFINITI ECCLESIASTICAMENTE.
Nota: Oltre ai cinque ministeri fondamentali, assieme a questi emergono altri ministeri ugualmente carismatici, che sembrano sorgere o sembrano precisarsi con l’organizzazione della chiesa.
Questi ministeri, che possono essere visti anche come posizioni intermedie o compendiative dei ministeri dei ministeri fondamentali, sembrano anche essere connessi con determinate condizioni, cioè col possesso da parte del ministro di particolari requisiti indispensabili all’espletamento di esso.
Queste condizioni emergono chiaramente nell’illustrazione delle singole voci:
A. VESCOVO: (dal greco: episcopoi = sorvegliante). La letteratura neotestamentaria sembra alquanto imprecisa nel definire la responsabilità del vescovo, ma il significato letterale del suo nome e le testimonianze concordi di tutta la letteratura cristiana dei primi secoli ci autorizzano a concludere che il vescovo, nato come “sorvegliante”, cioè pastore di una comunità importante, è divenuto in seguito il sorvegliante di un gruppo di comunità di cui una ecclesiasticamente importante e le altre di importanza minore o di natura missionaria.
I requisiti biblici del Vescovo ci fanno comprendere che l suo ministerio é di natura pastorale e perciò egli espleta l’ufficio di sovrintendente per l’edificazione della propria giurisdizione e per la preservazione dell’integrità morale e dottrinale delle comunità affidate alle sue cure. (Tito 1:7,9,10; 1° Timoteo 3:2; Atti 20:17,28).
Da questo punto di vista u sto ministerio esprime una “condizione”, cioè quella costituita dalla capacità di presiedere sopra una giurisdizione o sopra un gruppo di comunità.
B. ANZIANO: (dal greco: presbiteri = anziano).
Questo termine fu accettato dalla cristianità come retaggio della sinagoga, dove
esprimeva chiaramente una condizione. Gli anziani di Israele erano quegli individui che giungevano alla canutezza con una riserva di saggezza, esperienza, rettitudine e che per questa ragione venivano riconosciuti idonei ad assumere in mezzo al popolo una posizione direttiva.
E’ probabile che nel seno delle prime chiese cristiane prevalse il medesimo concetto e che quindi soprattutto dal seno degli anziani venivano eletti vescovi e pastori benché nella letteratura neotestamentaria i due termini sembrano confondersi. Questa confusione di nome può avvalorare anziché scartare l’ipotesi perché può far pensare che originariamente si pensasse ad una equiparazione tra gli “anziani” ed i “vescovi” fino al punto di vedere gli negli altri e viceversa. (1°Timoteo 5:17; Filippesi 1:1; Tito 1:5)
C. DIACONO: (alterazione di diaconi = servitore).
Qualifica di idoneità assistenziale riconosciuta a coloro nel quali sono evidenti capacità illuminate e valorizzate dallo Spirito Santo. Essi attendevano soprattutto all’espletamento dei servizi delle distribuzioni, opere pietose, sussidi, ecc. (Romani 12:8; 1° Corinzi 12:22; Atti 6:3).
Nota: Non concordiamo con la critica moderna che definisce il diaconato “ministerio minore”, perché riteniamo che la grandezza di un ministerio sia determinata più dall’azione estrinseca che non dal suo contenuto intrinseco; preferiamo definirlo “ministerio che esprime una condizione” e quindi ministerio che, più dei ministeri fondamentali, può tenere in conto la personalità umana.
LO SCOPO DEI MINISTERI
Nota: I ministeri sono i doni di Cristo alla Chiesa; è ovvio, quindi, che sono stati dati alla chiesa e per la chiesa. La Chiesa è stata data al mondo (Matteo 5:14), ma i ministeri sono stati dati alla chiesa; perciò la Chiesa deve essere la salute del mondo, ma i ministeri devono essere la salute della Chiesa.
a) Perfezionamento dei santi (versione Luzzi, Efesi 4:12);
b) Per l’edificazione completa della Chiesa. (Idem);
c) Sviluppo della conoscenza e della fede. (Efesi 4:13);
d) Trasformazione gloriosa dei credenti (2°Corinzi 3:18);
e) Per il raggiungimento della maturità cristiana. (Efesi 4:14).
I DONI FONDAMENTALI DELLA CHIESA.
Nota: Si può dire per i doni quanto detto per i ministeri e cioè che essi sono molteplici, almeno oltre il numero comunemente definito, ma alcuni di essi possono essere dichiarati fondamentali. La critica corrente accetta a catalogo dei doni fondamentali dello Spirito quello di Paolo in 1°Corinzi 12, mentre la chiesa cattolica preferisce quello di Isaia 11 che elenca nel testo ebraico sei manifestazioni dello Spirito che diventano sette nella traduzione dei Settanta. Comunque è interessante notare che nell’uno e nell’altro caso i doni si dividono in tre diverse categorie, come vedremo in seguito, ma, noi, accettando un concetto carismatico più dinamico di quello della chiesa cattolica, dobbiamo preferire il catalogo Paolino dell’epistola ai Corinzi.
a) Parola di sapienza.
b) Parola di scienza
c) Fede
d) Doni di guarigione
e) Potenti operazioni
f) Profezia
g) Discernimento
h) Lingue
i) Interpretazione delle lingue.
LA CLASSIFICAZIONE CARATTERISTICA DEI DONI FONDAMENTALI.
a) Doni che conferiscono potenza per conoscere: Parola di sapienza, Parola di Scienza, Discernimento.
b) Doni che conferiscono potenza per operare: Fede, Doni di guarigione, potenti operazioni.
c) Doni che conferiscono potenza per parlare: Profezia, lingue, interpretazioni.
Nota: E’ ovvio che tutte queste azioni si svolgono sopra un piano carismatico, cioè soprannaturale.
E’ necessario anche notare che i primi due doni del primo gruppo sembrano essere doni per parlare, ma in realtà il dono viene manifestato attraverso la parola non carismatica, ma razionale, ma esso è costituito dalla “sapienza” e dalla “scienza” che rappresentano intrinsecamente il carisma.
1) DEFINIZIONE PARTICOLAREGGIATA DEI DONI: CONOSCENZA
a) Parola di Sapienza: Conoscenza della sapienza divina, necessaria alla vita pratica del credente, e facoltà di dare quindi insegnamenti utili alla vita morale e spirituale della Chiesa. E’ chiamata anche “Parola spirituale” In contrapposto alla “Parola intellettuale» che è quella che segue e quindi può esseredefinita una facoltà pratica in contrapposto ad una “facoltà teorica”. Si manifesta nell’esposizione delle verità divine, nell’amministrazione comunitaria, nel rapporti sociali nell’opera di edificazione cristiana, nell’intellIgenza delle Scritture. Atti 7:10; 6:3; Colossesi 4:5; Giacomo 3:13; Matteo 13:54.
b) Parola di conoscenza e di scienza: Conoscenza delle verità essenzialmente teoretiche del piano spirituale, E’ chiamata, come già detto,anche “Parola intellettuale” cioè “facoltà propria dell’intelletto”. Con questo dono il credente partecipa la sapienza di Dio.
Quando il temine “conoscenza” si unisce nella Scrittura all’altro sapienza, il primo ha un significato passivo e il secondo attivo, indicando così chiaramente che la ” parola di conoscenza” si riferisce più direttamente alla vita o intellettuale o della ragione. E’ ovvio che nella vita dello Spirito queste diverse sfere di vita si fondono si compenetrano e s’ integrano vicendevolmente. Si manifesta nella conoscenza teologica, cioè di Dio e delle coserelative a Dio, e nella conoscenza dommatica, cioè dei principi della dottrina cristiana. 2° Corinzi 2:14; 10:5; Romani 11:33; 15:14.
c) Discernimento degli spiriti: Per alcuni è soltanto la facoltà di leggere negli animi, ma è più logico pensare che è la capacità di penetrare nel mondo invisibile degli spiriti e non soltanto per individuare quelli che si manifestano attraverso la strumentalità umana, ma anche quelli che si muovono liberamente nell’aria. (Efesi 6:12). Con questo dono il credente partecipa l’onniveggenza di Dio. Si manifesta nel discernere i ministri e i ministeri, gli animi e i pensieri umani, gli spiriti e le loro influenze. Matteo 7:15; Giovanni 1:4 ; 2:25; Fatti 5:3; 16:16-18.
2) DEFINIZIONE PARTICOLAREGGIATA DEI DONI: AZIONE
a) Fede. Il contesto dimostra chiaramente che,questa fede è distinta dalla omonima virtù teologale che è il temine di mediazione per raggiungere la salvezza. La fede è sempre adesione ad una verità enunciata o rivelata da Dio, non in forza della sua dimostrazione intrinseca, ma in forza di una fiducia in colui che l’ha enunciata. In questo caso quindi, trattandosi di quella fede comunemente definita “dei miracoli”, si tratta della eccezionale adesione provocata dallo Spirito al verificarsi di circostanze soprannaturali volute da Dio. Benché il passo di Marco 11:22 sia discusso nella traduzione, sembra che nella versione Diodati ci dia una felice definizione di questa fede che è dello Spirito e quindi è propria di Dio il Quale “crede” (?) sempre che la cosa avviene. Possiamo vedere questo dono nei miracoli compiuti per la fede o nell’afferrare esaudimenti prodigiosi a mezzo della fede o nel comandare per la fede la natura stessa. (Giosuè 10:13; 2° Re 4:4; 1° Re 18:43,44.)
b) Doni di guarigioni. E’ interessante notare che questo dono come quello che segue, è distinto dal precedente, come anche è interessante notare la sua forma plurale che potrebbe indicare:
1) Che il dono è rappresentato dalle guarigioni stesse e non dalle proprietà di conferire guarigione.
2) Che il dono di conferire guarigione è multiplo e multiforme in relazione al fatto che in una stessa riunione, uno stesso taumaturgo possa esercitare a favore di ‘‘molti” e quindi di “molte” malattie il dono spirituale. Comunque poiché sembra che il potere taumaturgico rappresenti uno stato normale del credente (Marco 16:18) o almeno dei ministri (Giacomo 5:14, Fatti 8:6-7 e Fatti 28:2-10) si può dedurre che qui le guarigioni, sia che esse stesse rappresentino il risultato dell’esercizio del dono, sia che rappresentino il dono, sono presentate come una manifestazione spontanea e conseguenziale dell’attività cultuale carismatica che può essere compresa immaginando l’opposto di quanto esplicitamente descritto da Paolo in 1° Corinzi 11:30,31.
c) Potenti operazioni. Il testo autorizza anche a tradurre “lavoro di potenza”, “miracolo”, “azione soprannaturale”. Poiché viene presentato come un dono distinto dalla Fede, che è, come abbiamo visto, generatrice di miracoli, non pensiamo che la diversa definizione voglia semplicemente compiere una distinzione fra causa (fede) ed effetto (miracolo) ma pensiamo piuttosto che voglia riferirsi ad una entità spirituale di diversa fisionomia. Si può pensare legittimamente che questo dono sia costituito dall’autorità carismatica che permette di compiere un ‘‘lavoro di potenza” nel piano spirituale, come: avvilire gli spiriti, far piombare il giudizio divino, usare autorità spirituale. Fatti 19:12; 16:18; 13:11; 1° Timoteo 1:20; Fatti 5:9.
3) DEFINIZIONE PARTICOLAREGGIATA DEI DONI: PAROLA
a) Profezia. Facoltà spirituale a carattere transitorio di parlare per il nome di Dio o in luogo di Dio (come può essere tradotto il vocabolo greco). Dono estemporaneo che esclude la preparazione razionale di colui che lo esercita. L’esercitare questo dono non fa del credente un profeta nel senso ministeriale, ma soltanto in senso cultuale e quindi soltanto nell’esercizio del culto. Lo studio etimologico del nome ci autorizza a concludere che il dono di profezia può essere espresso:
1. Come voce del Signore.
2. Come rapportando la voce del Signore.
Crediamo che questa differenza sia in rapporto alla misura della fede di colui che esercita il dono (Rom. 12:6), che può agire o come un “canale” o come un “messaggero”. Nel primo caso il credente, raggiunto il piano spirituale che lo rende partecipe del dono, diviene uno strumento attivo ma inerte; nel secondo caso diviene uno strumento attivo dinamico. Malachia 2;2; Fatti 21:11.
b) Lingue. Facoltà soprannaturale per esprimersi in una lingua non intelligibile a colui che parla. Più frequentemente questo dono si esprime in favelle arcane (1° Corinzi 14:2; 13:1) ma non è escluso che possa esprimersi in lingue conosciute a coloro che ascoltano. (1° Corinzi 13:1 e Fatti 2:11). Rappresenta sempre uno stato estatico nel quale il razionale è superato dal soprannaturale, sia che si consideri la glossolalia come un “segno” (Atti 2:4) e sia che si consideri come un “dono” (1° Corinzi 12.30). Frequentemente il movimento Pentecostale ha creato un equivoco biblico nel sottolineare la precisazione di cui sopra, che almeno nei termini, non risulta biblica. Si può chiarire che un “battesimo dello Spirito” che non può non essere accompagnato da manifestazioni spirituali ed è evidente che la Scrittura insiste in modo deciso nell’indicare le “lingue” come manifestazione conseguente al battesimo dello Spirito. (Fatti 2:4; 10:45-46; 19:6). Paolo ai Corinti parla della “lingue” come “segno”, ma il soggetto si differenzia nettamente da quello del credo pentecostale.
L’apostolo cerca di spiegare che le lingue, per l’aspetto spettacolare della loro manifestazione rappresentano “un segno” della potenza divina agli inconvertiti, sempre che, naturalmente le lingue siano esercitate ordinatamente e con l’ausilio dell’interpretazione.
Se “tutti” parlano lingue, anche questo segno si trasforma in una inutile Babele, mentre se “tutti” profetizzano, anche questo dono eminentemente comunitario si trasforma in mezzo missionario.
Il dono o la manifestazione della lingua ha anche una sua ragione individuale e quindi può essere consolazione ed edificazione personale, edificazione della comunità e segno agli inconvertiti. (1° Corinzi 14:4,5,22).
c) Interpretazioni; Facoltà soprannaturale che permette di interpretare (non di tradurre) il messaggio in lingue. Stato estatico che stabilisce un legame fra il glossolalo e colui che lo interpreta, e quindi stato estatico che rappresenta il raggiungimento della stessa sfera spirituale di colui e esercita il dono delle lingue, Non si può escludere che l’interpretazione possa essere data dal glossolalo stesso, come non si può assolutamente escludere che uno stesso interprete possa seguire diversi glossolali. (1° Corinzi14:5,27)
LO SCOPO DEI DONI
Nota: Con i doni la Chiesa è stata fornita di ogni capacità carismatica necessaria alla propria vita organica su un piano soprannaturale, e quindi lo scopo dei doni appare evidente attraverso la considerazione che la chiesa è il “Corpo di Cristo”.
a) Per l’utilità comune. (1° Corinzi 12:7)
b) Per il servizio comune. (Romani 12:5; 1° Corinzi 12:14.)
c) Per l’edificazione, la consolazione e l’esortazione comune. (1°Corinzi 14:3-19).
d) Per evangelizzare e convincere di peccato mediante la Potenza carismatica. (1°
Corinzi 14:24,25).
Nota: Quanto sopra ci dichiara quindi che lo scopo dei doni, come quello dei ministeri, è quello di rendere la chiesa conforme al piano divino. (Genesi 2:18,23; 2° Corinzi 11:2; Efesi 5:27).