Assolta Rimsha Masih, la bambina accusata di Blasfemia in Pakistan

ISLAMABAD –   L’Alta Corte di Islamabad ha assolto e archiviato il caso di Rimsha Masih, la bambina cristiana accusata di blasfemia, arrestata lo scorso agosto per aver bruciato pagine del Corano. Lo ha reso noto il suo avvocato, Akmal Bhatti. – (Per gli articoli precedenti su questo caso vai a questa pagina).  –   Il caso, che aveva suscitato indignazione in tutto il mondo, era scoppiato dopo l’arresto di Rimsha, una ragazza di 14 anni affetta da sindrome di Down, il 16 agosto, in seguito alla denuncia dell’imam Mohammed Khalid Chishti. 

Rimsha era già stata rilasciata l’8 settembre, dopo tre settimane trascorse in un carcere per adulti, in seguito alla svolta dell’arresto dell’imam che l’aveva denunciata. La polizia aveva detto alla magistratura di assolverla e aveva chiesto l’incriminazione dell’imam per falsificazione di prove e blasfemia. L’Alta Corte di Islamabad, che si era riservata il giudizio la scorsa settimana, ha respinto la denuncia perché «nessuno ha visto Rimsha Masih bruciare delle pagine del Corano». In una sentenza di quindici pagine, i giudici hanno poi sottolineato che «le accuse di blasfemia sono questioni molto delicate e che questi casi vanno trattati con attenzione». Le accuse contro la ragazzina, che soffre di un ritardo mentale, erano infatti state falsificate dall’imam della moschea dal suo quartiere. Il religioso, che è poi stato arrestato, aveva infatti messo delle pagine bruciate nella borsa di Rimsha per far credere che avesse commesso l’atto sacrilego con l’intenzione di creare odio contro i cristiani e costringerli ad abbandonare l’area. La bambina era stata arrestata un una baraccopoli lo scorso 16 agosto. 

Paul Bhatti, l’unico ministro cristiano nel governo pakistano, ha confermato la sentenza di assoluzione: «Giustizia è stata fatta e il diritto è stato applicato dal tribunale». «Questa sentenza darà un’immagine positiva del Pakistan alla comunità internazionale mostrando che c’è giustizia per tutti e che il Paese vuole tolleranza». 

Dopo il rilascio, Rimsha e la sua famiglia erano state trasferite in una località segreta per il timore di aggressioni., la bambina cristiana accusata di blasfemia, arrestata lo scorso agosto per aver bruciato pagine del Corano. Lo ha reso noto il suo avvocato, Akmal Bhatti. 

Il caso, che aveva suscitato indignazione in tutto il mondo, era scoppiato dopo l’arresto di Rimsha, una ragazza di 14 anni affetta da sindrome di Down, il 16 agosto, in seguito alla denuncia dell’imam Mohammed Khalid Chishti. 

Rimsha era già stata rilasciata l’8 settembre, dopo tre settimane trascorse in un carcere per adulti, in seguito alla svolta dell’arresto dell’imam che l’aveva denunciata. La polizia aveva detto alla magistratura di assolverla e aveva chiesto l’incriminazione dell’imam per falsificazione di prove e blasfemia. 

L’Alta Corte di Islamabad, che si era riservata il giudizio la scorsa settimana, ha respinto la denuncia perché «nessuno ha visto Rimsha Masih bruciare delle pagine del Corano». In una sentenza di quindici pagine, i giudici hanno poi sottolineato che «le accuse di blasfemia sono questioni molto delicate e che questi casi vanno trattati con attenzione». Le accuse contro la ragazzina, che soffre di un ritardo mentale, erano infatti state falsificate dall’imam della moschea dal suo quartiere. Il religioso, che è poi stato arrestato, aveva infatti messo delle pagine bruciate nella borsa di Rimsha per far credere che avesse commesso l’atto sacrilego con l’intenzione di creare odio contro i cristiani e costringerli ad abbandonare l’area. La bambina era stata arrestata un una baraccopoli lo scorso 16 agosto. 

Paul Bhatti, l’unico ministro cristiano nel governo pakistano, ha confermato la sentenza di assoluzione: «Giustizia è stata fatta e il diritto è stato applicato dal tribunale». «Questa sentenza darà un’immagine positiva del Pakistan alla comunità internazionale mostrando che c’è giustizia per tutti e che il Paese vuole tolleranza». 

Dopo il rilascio, Rimsha e la sua famiglia erano state trasferite in una località segreta per il timore di aggressioni.