DIO E’ AMORE

di Roberto Bracco

Il grande evangelista D. L. Moody diceva: “Se mi fosse possibile far capire agli uomini il vero significato delle parole dell’Apostolo Giovanni, ‘Dio è amore’, vorrei prendere queste tre parole e proclamarle al mondo intero. Se riuscite a persuadere un individuo che lo amate, avrete guadagnato il suo cuore”.

Ci sarebbe da aggiungere: se ci fosse possibile comprendere il vero significato…  Dio è amore. L’essenza stessa di Dio è amore. Dio non ha amore, non manifesta amore, ma è amore. Uno dei nomi di Dio può quindi essere “Amore”. Quando pronunciamo questa parola, pensando il più possibile al suo significato, pronunciamo in un certo senso il nome di Dio.

L’amore, dunque, ci dà la misura di Dio, così come Dio ci dà la misura dell’amore, e noi ci accorgiamo che questi due termini si fondono e si confondono nel seno dell’infinito e dell’eterno.

Dio non conosce limiti di tempo e l’amore nello stesso modo ignora questi limiti. S. Paolo dichiara nella sua epistola ai Corinti, che fede e speranza verranno annullate, ma l’amore durerà nell’eternità. Fede e speranza sono i mezzi che portano a Dio, ma l’amore è Dio.

In relazione a quanto sopra si può concludere che è tanto difficile comprendere l’amore quanto è difficile comprendere Dio, oppure che, è tanto facile comprendere l’amore quanto è facile comprendere Dio. La rivelazione di Dio porta in uguale misura la rivelazione dell’amore, come l’ignoranza di Dio genera come conseguenza inevitabile l’ignoranza dell’amore.

Il nostro compito deve essere dunque quello di tenere uniti questi due termini per poter formare la nostra esperienza spirituale, attraverso un progresso, equilibrato sulla conoscenza delle due verità, in una medesima rivelazione, perché se noi tentiamo di approfondire l’essenza dell’amore separandolo dalla personalità di Dio o se tentiamo di chiarire la personalità di Dio in modo distinto dall’essenza dell’amore, non possiamo che cadere in concezioni tanto errate quanto più ci allontaniamo da uno di questi termini.

Pensare che Dio possa aver subito un processo evolutivo significa mettere in dubbio, da un certo punto di vista, la Sua personalità eterna ed infinita; pensare che l’amore sia divenuto la Sua essenza in sostituzione dell’odio e della vendetta, che costituivano in precedenza il Suo essere, significa mettere in dubbio che “Dio è amore”.

Dio è amore. Questo “è” abbraccia l’eternità e stringe con una mano “l’ab-eterno” e con l’altra “in eterno”. Egli non ha mai modificato nessun carattere, non ha subito alterazioni e non ha conosciuto turbamenti.

Poteva essere detto di Dio: “è amore”, quando la terra era una cosa deserta e vacua. Poteva essere detto di Dio: “è amore” nel giorno dell’Eden. Poteva essere detto di Dio: “è amore” attraverso tutti i periodi storici descritti dalla Bibbia. Poteva essere detto di Dio: “è amore” ai giorni di Gesù e di Giovanni l’Apostolo e può e potrà essere detto di Dio: “è amore” oggi e nell’eternità.

Molti critici, fondandosi su fatti singoli o su separate parole contenute nella Bibbia, asseriscono che si palesa una grande differenza fra l’Iddio del Vecchio Testamento e l’Iddio del Nuovo Testamento. Il secondo, essi dicono, è il Padre affettuoso rivelato da Gesù, ma il primo è l’Iddio vendicatore predicato dai profeti. Il secondo manifesta chiaramente l’amore, ma il primo confonde il suo curioso affetto per un popolo prescelto con l’odio più violento e con l’ira più impetuosa.

I critici si sbagliano. Il loro esame è molto superficiale e la loro conclusione è molto temeraria.

Quando Gesù manifesta il Padre, il Suo nome, la Sua essenza, parla chiaramente di un Dio solo parzialmente conosciuto dalle folle e davanti al quale esiste il velo dell’ignoranza che Egli è venuto finalmente a lacerare. Non parla di un Dio nuovo o rinnovato, ma del Padre dell’eternità. Egli dice “lo ho manifestato il tuo nome agli uomini”.

Notiamo, quegli uomini erano gli israeliti che vivevano nella persuasione di conoscer perfettamente il nome di Dio.

“lo ho manifestato il tuo nome”, l’ho fatto finalmente conoscere, dice Gesù, perché è giunto il giorno preparato, il giorno per il quale hanno lavorato i secoli. L’ho fatto conoscere, prima che agli altri, a questo popolo preparato per una missione universale, a questo popolo che credeva di conoscerti, che credeva di esserti fedele.

Fermiamo veramente la nostra attenzione sopra ogni episodio della Bibbia, ponderiamo ogni parola; uniamo assieme il succedersi degli avvenimenti, facciamone un quadro armonioso e allora, allora soltanto, ci accorgeremo che “Dio è amore” nel seno dell’eternità.

Sì, gli israeliti lo hanno visto in un modo diverso e in un modo diverso è apparso agli occhi di tutti i popoli, ed anzi si può anche aggiungere che Dio stesso ha parlato un linguaggio diverso agli uomini, ma tutto questo non pregiudica la sua eterna personalità.

I Suoi piani, le Sue mosse, le Sue parole palesano in modo chiaro la Sua essenza: l’amore. Egli agisce e guida perché tutti gli uomini, che pur non comprendendolo, vadano verso la mèta segnata per loro: la redenzione in Cristo.

Il suo linguaggio è diverso? Sì, è il linguaggio necessario per le circostanze; Egli opera al di sopra delle cose alle quali noi attribuiamo talvolta valore, si muove in modo da lasciare perplessi, parla e suscita un momentaneo sbigottimento, ma l’agitarsi dei sentimenti si placa ed allora vediamo che Egli agisce sulla potenza della Sua essenza. Egli agisce nell’amore. Il linguaggio è diverso, ma Egli è lo stesso.

Anche io per farmi comprendere da un francese sono costretto a parlare nella sua lingua, ma non per questo cesso di essere italiano. O meglio ancora: anche io per farmi intendere dai miei piccoli bambini uso un linguaggio e talvolta dei mezzi che appaiono contrastanti con la mia personalità, ma non per questo cesso di essere quello che sono. Io parlo ai miei bambini in maniera da suscitare esercizio intellettuale perché la loro intelligenza si sviluppi; domani parlerò con diverso linguaggio ed essi mi comprenderanno.

L’occhio di Dio era sul Golgota; su quel monte nudo Egli intendeva parlare per la prima volta all’umanità reietta il linguaggio che avrebbe potuto far finalmente comprendere agli uomini chi era e che cosa era il loro Creatore. Le Sue parole precedenti non dovevano avere altro scopo che quello di preparare gli uomini per il giorno del Calvario. Ma le vendette, gli stermini, ecc.?

Troppo facilmente dimentichiamo che i valori umani si sbiadiscono davanti a Dio. Egli non conosce la morte. Egli non conosce le nostre miserie.

Dio ha fatto morire degli uomini? Siamo sicuri? Non è stata quella soltanto una parola per farsi comprendere? Quegli uomini sono morti se Egli non conosce la morte?

Ricordiamoci: È Il Padre che parla ad un popolo di bambini; Egli si deve far comprendere, li deve portare a conoscere che Egli è amore ed anche se ci sembra che le strade per le quali li conduce siano sbagliate, arrendiamoci difronte al fatto che Egli li ha condotti; se ha fatto loro raggiungere una mèta alla quale si palesa la Sua essenza non si può che concludere che anche dal momento in cui li ha presi per condurli al benedetto esito finale, il Suo essere era soltanto interamente amore.

Noi, esseri di polvere, siamo abituati ad accontentarci molto frequentemente soltanto delle cose che colpiscono i nostri sensi. Per questa nostra naturale debolezza non raramente indichiamo l’amore dove in realtà dell’amore c’è solo l’apparenza e questo ci trascina a formarci un concetto errato, e sull’amore e su tutte le cose che trascendono il mondo dei sensi.

Se fermiamo però la nostra attenzione in Dio e su quell’essenza che in Lui non è una vana apparenza, avremo la possibilità di conoscere, con tutti i santi, l’altezza e la profondità dell’amore. In Dio l’amore è manifesto e quindi in Dio l’amore è reale e visibile.

L’Apostolo Paolo così scriveva ai Romani: “… poiché le perfezioni invisibili di lui, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente sin dalla fondazione del mondo”. Si vedono… sin dalla creazione. Dunque la prima manifestazione di Dio e, possiamo dire, dell’amore di Dio è congiunta alla creazione.

Dio ha creato per la potenza dell’amore. Molti si domandano perché Dio, perfetto nella Sua essenza, ha voluto un giorno creare la terra e le cose che sono in essa? Perché Egli è amore, è la risposta che ci dà il sacro testo. Egli ha voluto la Sua creazione come un padre desidera il suo figliuolo; ha faticato per essa e in essa ha voluto mettere la Sua impronta cosi che ben si può dire che al termine dell’opera tutto quel che si vede ci parla di Lui. L’ha voluta per goderla come un padre vuol godere il figliuolo: “mi rallegravo nella parte abitabile della terra e trovavo la mia gioia fra i figliuoli degli uomini”. (Prov. 8:31).

La creazione ci parla di amore. Quante volte ci riesce di comprendere l’affetto intenso che una madre nutre per il proprio bambino dalle cure di cui lo circonda. Alla mamma sembra di non rendere mai abbastanza leggiadro il proprio figlio e gli sceglie gli abitini più graziosi e lo arriccia e lo infiocca. Ella lo ama.

Che cosa ha trascurato l’Eterno nella Sua creazione? Dal minuscolo filo d’erba alla montagna gigantesca è un susseguirsi di meraviglie, di bellezze che parlano di tenerezza di amore. Non ci è possibile spiegare su un orizzonte vastissimo le leggiadre meraviglie del creato, ma se questo ci venisse reso possibile noi saremmo colpiti da una visione di bellezza e di amore che ci lascerebbe privi di parola.

Dio è perfezione; questa essenza include l’amore e noi possiamo ben affermare che la manifesta perfezione di Dio, che miriamo attraverso la Sua creazione ci parla, e ci parla insistentemente di amore.

L’immagine usata sopra a modo di esempio ci dice, in armonia con le Sacre Sritture, che tutte le cose create nelle quali, naturalmente, Dio ha trasfuso e reso manifesto il Suo amore, sono solo un orizzonte parziale dell’essenza divina. Vediamo allargato questo orizzonte quando consideriamo la posizione che Dio ha voluto assegnare all’uomo.

A prima vista si potrebbe pensare che lo stato di assoluta supremazia nel quale l’Eterno ha voluto collocare Adamo rispetto a tutte le altre sue creature, sia contrastante con il senso dell’equità e della giustizia e quindi con l’essenza dell’amore; viceversa ponderando diligentemente il piano divino non possiamo che arrenderci all’armonia della manifestazione di Dio.

Dio creò ogni cosa, cioè fece sorgere le Sue creature dal nulla per la potenza della Sua parola, e in ultimo formò l’uomo ricavandolo dalla polvere della terra, ossia da una cosa creata in precedenza, ma mentre ogni creatura possedeva già in sé stessa la propria struttura organica e la propria vita, l’uomo formato dalla polvere rappresentava soltanto l’involucro di una nuova creatura.

Questa nuova creatura fu resa vitale attraverso un processo creativo diverso da quello seguito per tutte le altre. Per ogni creatura, Dio disse, parlò, e la cosa fu formata.

Per rendere invece quell’essere di polvere “anima vivente”, Dio gli soffiò nelle narici un alito vitale.

E la differenza ci vien fatta notare anche dal sacro testo che asserisce che all’apparire di ogni creatura Dio vide che ciò era buono, ma all’apparire della ultima delle Sue creature riguardando tutto il Suo lavoro, Dio vide che era molto buono.

Ed infatti a nessuno può sfuggire la differenza esistente fra cose sorte per la potenza della Parola di Dio, e quella creatura resa vitale per l’alito di Dio. Quella creatura quindi in cui è l’immagine di Dio.

Questa differenza doveva essere legalizzata dalla legge di Dio, e da questa, è sorta, in armonia con l’essenza dell’amore, la posizione di supremazia dell’uomo sul creato.

Dio in questo caso ha agito come quel padre che nell’amore per la famiglia e per la casa cerca di rendere grazioso il proprio appartamentino e belle le proprie cose, ma è spinto a questo dal legittimo sentimento di rendere perfetto il piacere e domani l’eredità di colui nel quale è impressa la propria immagine e cioè del suo figliuolo. Egli ama e vuole bella ciascuna delle sue cose ma solo perché esse posseggono uno scopo, uno scopo che rende perfetto il suo amore.

La vera supremazia dell’uomo però non è quella che noi vediamo nell’autorità che egli esercita o può esercitare e sui campi e sulle bestie e sulla natura, ma quella che gli conferisce intimità con Dio.

Dio è amore e per questo vuole che la creatura nella quale è la Sua immagine, non rimanga come un naufrago nel mondo, come un figlio che abbia perduto il genitore. Egli vuole essere congiunto con l’uomo, vuole divinizzare l’uomo.

Ci dice infatti la Genesi che il Signore fece dono di tutte le cose all’uomo ma sopra tutte le cose gli fece dono della Sua amicizia e della Sua comunione: Dio passeggiava nell’Eden e s’intratteneva amorevolmente con l’uomo.

Purtroppo Adamo non fu buon guardiano del tesoro donatogli da Colui che si era manifestato veramente come Padre e in un modo che è superfluo ridire in questo scritto fece sorgere una barriera fra lui e Dio.

Ma non fu Adamo a comprendere profondamente il male che era stato consumato e non fu Adamo od addolorarsi per intero della conseguenza. Colui che è amore vide tutto il male e avvertì tutto il dolore e Colui che è amore non abbandonò in quel tragico evento la Sua creatura ma gli fu vicino e pronunciò per lui una promessa di redenzione.

L’amore è fonte di rivelazione.

Noi non possiamo mai dire con precisione quello di cui sarà capace un cuore che ama, quello che farà domani l’individuo che palpita di amore. Ci sembra talvolta che l’opera che egli ha compiuta sia l’espressione del massimo delle sue possibilità e invece egli compie successivamente opere maggiori di quella che ci ha colpito.

Cosi è dell’amore in Dio. Abbiamo visto la manifestazione della Sua essenza nella creazione, quindi nella posizione nella quale pone l’uomo, nella relazione che stringe con l’uomo, ma dopo tutto ciò dobbiamo riconoscere di non aver visto tutto l’amore di Dio. Ecco una manifestazione più sublime, direi quasi uno stadio superiore dell’amore: La promessa della redenzione.

Dio dovrebbe essere sdegnato verso l’uomo, dovrebbe, ci suggerisce il nostro istinto animale, ritornare sopra i Suoi piani nei confronti dell’uomo e invece promette.

Non solo promette una redenzione ma promette un Redentore. Diceva giustamente Moody: “Non sono mai riuscito a comprendere l’Immensità del passo di Giovanni: ‘Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il Suo unigenito Figliuolo…” (Giov. 3:16). Quando sono diventato padre, quando ho avuto un figliuolo, quando ho sentito palpitare nel mio cuore l’amore paterno, ho avuto però una più larga misura dell’amore di Dio; di quel tanto che purtroppo non c’è dato di comprendere per intero.

Un padre che promette il sacrificio del Suo figliuolo e che lo promette a favore dei suoi oltraggiatori: Ecco l’amore.

La scrittura ci parla di Abrahamo e dell’offerta simbolica del suo figliuolo e noi miriamo in questo fedele servitore di Dio l’esempio della dedizione, della fede, dell’amore.

 Abrahamo, ci dice la Genesi, camminò tre giorni e finalmente vide quel luogo da lontano. Tre giorni in cui percorse il suo cammino con una pena dolorosa nell’anima; eppure questo non ebbe il potere di farlo indietreggiare dalla sua decisione, perché il suo cuore era pieno di amore per Dio.

In Abrahamo che non risparmia il suo erede, il figliuolo verso il quale è tutto il suo affetto paterno, noi abbiamo il simbolo del sacrificio, l’esempio dell’amore. L’esempio però ci dice solo in modo incerto dell’amore di Colui che non ha risparmiato il Suo figliuolo ma lo ha dato, dice Paolo, per tutti noi.

Abrahamo non ha risparmiato Isacco. Egli ha avuto avanti a sé tre giorni di cammino per meditare su quello che stava per compiere; ha avuto degli incidenti e degli avvenimenti che avrebbero potuto scoraggiarlo nel suo proposito ma nonostante queste cose è rimasto fermo: non ha risparmiato il suo figliuolo.

Ma che dire di Dio?

Egli, ci dice la Scrittura, ha preparato il Suo Figliuolo al sacrificio avanti che il mondo fosse. Lo ha promesso alla caduta dell’uomo. Ha rinnovata la promessa attraverso i millenni. Non ha mai desistito dal sublime proposito: non ha risparmiato il Suo figliuolo.

La Scrittura contiene, nell’antico testamento, circa trecento profezie relative al Cristo. Sono le parole di Dio che rinnovano la promessa e la rinnovano quando certamente il più buono fra noi l’avrebbe annullate. Il peccato degli uomini si fa più grande, gli oltraggi verso l’Eterno si fanno più vituperosi ma Dio continua a promettere il suo Figliuolo. Egli non lo risparmia.

Forse per un uomo buono qualcuno ardirebbe morire, dice l’Apostolo, ma l’amore di Dio è stato manifesto in questo che mentre eravamo peccatori Cristo è morto per noi. Un padre che non risparmia il suo figliuolo ma lo dà all’ignominia e al sacrificio per i suoi nemici ci dice dell’amore di Dio.

E il Redentore viene.

L’amore di Dio si manifesta per Lui, si manifesta nei miracoli che il Cristo compie e per i quali benefica i bisognosi, si manifesta nelle Sue parole che raggiungono e guariscono i cuori; si manifesta nella sua dottrina che porta la giustizia e la verità ma si manifesta soprattutto nelle Sue sofferenze.

Il Cristo è schernito, oltraggiato, contradetto. Il Padre potrebbe riaccoglierlo a sé, potrebbe risparmiarlo: non lo risparmia.

Non lo risparmia neanche quando nella agonia dei Getsemani udì l’implorazione: se è possibile allontana da me questo calice. Non era possibile? Non poteva risparmiarlo? Si, ma non lo risparmia. E il Cristo viene arrestato, vituperato, condannato, flagellato.

Dio non lo risparmia. Il Cristo percorre lentamente e fra sofferenze atroci la via del Golgota: è sanguinante e lacerato. La croce lo opprime, le debolezze lo fanno soffrire.

Dio non lo risparmia. Il Cristo viene inchiodato sul legno fatale, viene rizzato sulla terra. Incomincia il martirio atroce; la sete, la febbre, le piaghe.

Dio non lo risparmia. Ora agonizza, il suo corpo è ormai carico delle infermità e delle lividure di una umanità malata e sopra di Lui pesano in maniera tremenda le colpe consumate degli uomini di tutti i continenti e di tutti i secoli.

Davanti al Padre c’è il Figliuolo, lacerato e oppresso e lì a pochi passi il mondo intero rappresentato nella turba dei nemici del Cristo che ancora gridano, che ancora scherniscono.

Chi risparmiare? Il dolce Figliuolo o gli empi che tumultuano? Il Padre non esita, si copre il viso, si nasconde dallo spettacolo straziante ma non risparmia il Suo figliuolo. Gesù grida, “Padre mio, Padre mio, perché mi hai abbandonato?” e dopo poco aggiunge: “nelle Tue mani rimetto lo spirito mio”. Dio è amore!